il campo largo non decolla

Giuseppe Sala lancia il nuovo centro ma alle spalle spunta Bettini

Mira Brunello

È il vecchio pallino di Goffredo Bettini, che torna avivere. «Se Matteo Renzi è troppo divisivo e Carlo Calenda poco affidabile, dobbiamo fabbricarci un centro a nostra immagine e somiglianza, una sorta di Margherita «addomesticata», pensa il guru della sinistra capitolina. Un vestito su misura per il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che già in passato ha coltivato l'ambizione di sbarcare nella politica romana (nel '21 lavorava ad una ipotesi di lista liberal ecologista, poi la caduta del governo Draghi gli impedì di andare avanti). Il voto ligure ha messo in evidenza che il campo largo non decolla senza un solido riferimento liberaldemocratico, ergo anche Elly Schlein si è convinta che bisogna inventarsi qualcosa. Disinnescare la mina dell'ex sindaco di Firenze, che innervosisce troppo Giuseppe Conte (che da parte sua inizia a pensare che non gli convenga andare al traino del Nazareno) e mettere in piedi una nuova formazione che sia in grado di competere con Forza Italia nella conquista del voto moderato. E quindi via libera al primo cittadino di Milano (che scade nel '27) che ha comunque bisogno di un po' di tempo prima di mettere a battesimo la nuova creatura.

 

  

 

In più l'ex manager ha un'immagine un po' algida, non si è mai del tutto liberato dalla sua impostazione da «tecnico», e non è esattamente carismatico, ne consegue che vanno ricercati un paio di volti più trascinanti, che possono prestarsi a fare da leader alla gamba centrista del campo largo. In un primo tempo, alla nascita di Italia Viva, Goffredo Bettini riteneva che la nuova casa del rottamatore potesse accogliere anche quell'area riformista dem, che in un partito strutturalmente di sinistra, stonava. Lorenzo Guerini, nel 2019, gli rispose picche e continuò a dare battaglia nel Pd, sperando tre anni dopo, di riprenderselo con Stefano Bonaccini, poi sconfitto alle primarie. Oggi lo scenario è cambiato, e non è detto che alla lunga i riformisti non possano aggiungersi ad una neo Margherita, per uscire dal letargo imposto dalla segretaria. 

 

 

E Matteo Renzi e Carlo Calenda, che fine faranno? Secondo i pasdaran dem possono anche aggiungersi alla «cosa» di Sala, ma senza le luci della ribalta. Che per due leader egoriferiti, è come dire che è difficile che ne facciano parte. Di tutt'altra fattura il progetto a cui stanno lavorando Andrea Marcucci, Luigi Marattin e Alessandro Tomasi, una sorta di «rifondazione liberaldemocratica». L'appuntamento è a Milano per il 23-24 novembre al Teatro Grande per un evento che si chiamerà «il coraggio di partire». E l'arrivo per loro è rimettere in piedi il fu terzo polo, occupando lo spazio che alle politiche del '22 fu usato da Italia Viva e da Azione. Con la stessa disponibilità di allora: ci si confronta con tutti, centrodestra e centrosinistra, senza pregiudizi «ideologici». Un «saggio» di quello che hanno intenzione di fare Marcucci e Marattin lo hanno dato in Liguria, appoggiando dichiaratamente Marco Bucci. L'evento milanese dovrebbe anticipare la nascita di un vero e proprio partito libdem nel 2025, con due anni di tempo per preparare il terreno elettorale. Insomma è partita la corsa del centro.