gli interrogatori degli spioni

Dossier, ecco la fabbrica: "C'era una regia oscura, temevo per la mia vita"

Rita Cavallaro

È il solito copione degli spioni. Di quei servitori dello Stato infedeli convinti di poter dossierare a mani basse politici e vip. Ma che, quando vengono scoperti, sfoggiano l'arroganza di un potere che hanno tradito e rinnegato già con un singolo accesso illegale, figurarsi dopo le centinaia di migliaia di documenti riservati esfiltrati. Così l'ex poliziotto Carmine Gallo, a capo della «banda» di hacker di Milano, ieri ha ricalcato le orme del più famoso degli spioni, quel Pasquale Striano che aveva trasformato l'Antimafia in un verminaio delle Sos. «Sono un grande investigatore», rivendicava a Le Iene il finanziere, che non ha mai voluto chiarire la sua posizione con il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone. «Ho sempre rispettato la legge e lo farò anche ora. Sono stato un servitore dello Stato, ho sempre rispettato l'autorità giudiziaria e lo farò anche in questa occasione», ha detto Gallo ieri al giudice, avvalendosi della facoltà di non rispondere di quel dossieraggio al cui vertice, secondo gli inquirenti, c'era proprio lui ed Enrico Pazzali, presidente della Fondazione Fiera. Collaborerà, garantisce Gallo, ma solo dopo aver letto le contestazioni del fascicolo, nato a seguito di un incontro dell'ex poliziotto antimafia con un esponente della 'ndrangheta, pedinato nel 2020.

 

  

 

 

Stesso silenzio dall'altro organizzatore della centrale del dossieraggio ai domiciliari, l'informatico Nunzio Samuele Calamucci, ideatore di quel sistema Beyond grazie al quale il gruppo avrebbe rubato almeno 800mila file riservati dalle banche dati nazionali, ma ora determinato a smentire che l'organizzazione potesse «bucare» lo Sdi. «Chiarirò non appena avrò un quadro completo degli atti dell'inchiesta. Da quello che ho letto ci sono delle esagerazioni, perché si rappresentano dei fatti che sono impossibili dal punto di vista empirico», ha detto al gip di Milano Fabrizio Filice, nelle dichiarazioni spontanee, dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere. A infliggere le prime crepe nel muro di omertà di quello che viene definito un gruppo spregiudicato tale da rappresentare «un serio pericolo perla sicurezzae la personalità dello Stato» è Marco Malerba, il poliziotto del Commissariato di Rho-Pero sospeso dal servizio. L'agente ha ammesso di aver effettuato le intrusioni illegali, in particolare allo Sdi. Ha spiegato che a chiedere quelle intrusioni era Gallo, «il suo ex capo», al quale non sarebbe «riuscito a dire di no, nell'ambito di un rapporto di scambio di favori». Nulla di così proficuo, qualche biglietto per il teatro o la prenotazione di un tavolo al ristorante, garantisce. Le ammissioni più rilevanti, e al contempo più inquietanti, comunque, sono arrivate da Massimiliano Camponovo, l'investigatore privato che lavorava con la società Equalize, di proprietà di Gallo e Pazzali.

 

 

Camponovo ha confessato di temere per la propria vita, di fronte a quello che ha chiamato un «sistema» dietro al quale c'è una mano oscura. «Sono preoccupato, temo per la mia incolumità e quella della mia famiglia», ha rivelato l'investigatore che si trova ai domiciliari. «Avevo percepito che dietro a questo sistema c'era qualcosa di oscuro quindi a un certo punto sono stato al mio posto. Mi passavano i dati e facevo i report». Non ha aggiunto altro, né ha fatto nomi o fornire indizi che possano portare a eventuali mandanti rimasti al momento ignoti, a differenza dei tanti clienti che avevano chiesto alla «banda» dossier su commissione. Che gli hacker di Equalize preparavano non solo con i documenti riservati rubati dalle banche dati, ma anche con informazioni del tutto inventate, che gli spioni inserivano magistralmente in dossier falsi. Un'attività illegale, in associazione a delinquere secondo i pm, che poco si sposa con le rassicurazioni di Gallo, il grande servitore dello Stato. Che ieri, uscendo dal palazzo di giustizia, non si è sottratto agli sguardi di quei giornalisti che conosce da anni, da quando lavorava alla Mobile di Milano. Ai quali ha borbottato a fatica: «È la vita».