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Sinistra a brandElly, Schlein perde 7 regioni su 8. E scatta la resa dei conti

Mira Brunello e Martina Zanchi
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Il giorno dopo è quello dei cocci. E dell’amarezza. Una vittoria considerata «facile», svanita sull’onda di un conteggio crudele e per proprie responsabilità. Lei, Elly Schlein come da abitudine, non parla. Però fa filtrare il suo pensiero, una riedizione del Pierluigi Bersani del 2013, «siamo arrivati primi, ma abbiamo non vinto». Che più prosaicamente significa «abbiamo perso». E il quadro d’insieme, va oltre la Liguria, ed è ben più drammatico. Dal giorno del suo insediamento al Nazareno, la segretaria del Pd ha incassato un pesante 7-1 alle elezioni regionali (a partire dal Friuli Venezia Giulia nell’aprile del ‘23 per arrivare alla sconfitta di Andrea Orlando). In pratica il centrosinistra ha vinto fortunosamente solo in Sardegna e guarda caso con Alessandra Todde, la favorita di Giuseppe Conte. Poi una sequela di magri risultati, dal Molise, alla Basilicata, dall’Abruzzo al Piemonte ed al Trentino Alto Adige. Nelle ore successive alla disfatta ligure, il Pd si rifugia nell’ottimo risultato ottenuto per la lista: il 28,47%.

 

Che ha portato all’implosione della sua coalizione, con l’alleato «forte», il M5S, fermo a 4,57%. E con l’area liberal democratica che si è decisamente attestata sul voto a Marco Bucci, come emerge dai flussi dell’Istituto Cattaneo. Al Nazareno, si avvicina la resa dei conti. Si aspetterà di completare il turno elettorale in Emilia Romagna e soprattutto in Umbria, per mettere in croce la linea «morbida» della segretaria, che dopo aver detto no ai veti, ha accolto quelli del M5S, e non ha fiatato per l’esclusione di Italia Viva. Il primo a dichiarare èl’eurodeputato Stefano Bonaccini: «Questo risultato mancato per un soffio deve far riflettere (e agire) per fare un passo avanti risolutivo nella costruzione di un centrosinistra nuovo, capace di vincere».

Poi il senatore Alessandro Alfieri, unico esponente di minoranza in segreteria: «Il punto politico andava oltre Renzi: quel no al leader di Italia Viva sarebbe stato inevitabilmente percepito- e quindi strumentalizzatocome un no alla parte centrista della coalizione». Ovvero ai voti che infatti sono mancati. Giuseppe Conte è sotto un tiro incrociato: da una parte Italia Viva e alleati che lo considerano responsabile della disfatta, dall’altra Beppe Grillo, che ieri in una storia Whatsapp ha lanciato l’ennesima stilettata: «Si muore più traditi dalle pecore che sbranati dal lupo». Oltre le schermaglie politiche, però, ci sono problemi insormontabili.

Senza un’alleanza con il M5S, il Pd è destinato ad arrivare secondo. Contemporaneamente il nuovo movimento disegnato dall’ex presidente del Consiglio ha valorizzato solo la componente sinistra del miscuglio originario di Casaleggio. A sinistra però l’elettorato riconosce il ruolo a Elly Schlein e in seconda battuta ad Avs. In questo modo il Nazareno si gonfia, ma il campo largo va a sbattere.

 

Anche in una regione dove, oggettivamente, c’erano le migliori condizioni per vincere. È il caso della Liguria, dove Andrea Orlando ha pagato le divisioni ma anche il fatto di non essere il candidato giusto per sfidare un sindaco «territoriale». A Pierluigi Bersani, la non vittoria del 2013 non portò molto bene: finì con l’essere congelato sulla porta di Palazzo Chigi e alla fine sorpassato da Enrico Letta. Elly si dovrà guardare da un’altra riserva di lusso: Paolo Gentiloni. A Roma intanto è scoppiata la mina innescata dal potente sindaco Roberto Gualtieri che fa parte della corrente Base democratica, minoritaria nel partito ma maggioritaria in Campidoglio - con un rimpasto di giunta compiuto all’insaputa delle segreterie.

Una faida che ha richiesto l’intervento diretto della leader nazionale, così ieri Schlein ha incontrato al Nazareno il primo cittadino per un incontro chiarificatore. Il tentativo è di ricucire i rapporti ma è parso anche aleggiare un invito a Gualtieri - che mira al secondo mandato nel 2027 - a coinvolgere il (suo) partito nell’attività amministrativa. Conclusioni tradotte dal Campidoglio con una formula serafica: «Piena condivisione delle strategie future, unità di intenti, sostegno al lavoro dell’amministrazione e valorizzazione del contributo politico e programmatico del Pd al rilancio di Roma».

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