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Altro che caso Spano. Il Pd riesuma Melandri per attaccare Meloni

Gianfranco Ferroni
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Il Ministero della Cultura è oggetto di attenzioni spasmodiche. Consigliando ad Alessandro Giuli di chiamare al più presto un esorcista, possibilmente gesuita, al Collegio Romano, gli ultimi mesi sono stati agghiaccianti, tra scorribande all’interno delle stanze e storie che hanno creato drammi personali. L’ultimo in ordine di tempo riguarda le dimissioni del capo di gabinetto Francesco Spano: tra l’altro, chi ieri ha visitato al Colosseo la mostra "Göbeklitepe: L'enigma di un luogo sacro", nata con la collaborazione del ministero della Cultura e del Turismo della Repubblica di Türkiye e dell’ambasciata di Türkiye a Roma, trova il nome di Spano nel cartellone ministeriale che descrive gli «attori principali» che hanno dato vita all’esposizione. C’è chi attacca Emanuele Merlino, altri tentano di porre sulla graticola lo stesso Giuli, ma la realtà da considerare non tocca il principale argomento: un ministro può scegliere i suoi collaboratori di fiducia o deve essere soggetto a volontà esterne?

 

 

 

Poltrona ambita come poche altre, quella della cultura, anche se tutti dimenticano che il momento più alto del potere di quel Ministero è stato toccato con Walter Veltroni che ricopriva, soprattutto, la carica di vicepresidente del Consiglio, nel primo governo di Romano Prodi, rendendo politicamente dirompente ogni suo atto compiuto al Collegio Romano. Giuli, al comando della macchina ministeriale, veniva dal Maxxi dove l'impronta di Giovanna Melandri, che di quel museo è stata «regina» (con uno stipendio, nel 2022, da 208.301 euro), appare ancora oggi difficile da cancellare. E cambiare una macchina incorsa richiede per forza l'assistenza di chi già si trovava all'interno. La coabitazione era nata da quell'esigenza. Quando ieri, a Venezia, presentando la rivista della Biennale, Giuli ha volutamente annusato la carta, per la gioia dei bibliofili che in quell’epifania dei sensi compensano la ferinità con la più alta capacità umana di trasformare la materia prima in simbolo culturale, è stato in grado di spiegare quella profonda vitalità che ormai manca a gran parte dei protagonisti dei dibattiti: è grazie al carisma che si possono davvero determinare delle scelte, e chi le compie ha il dovere di captare il sentimento popolare.

 

 

Ricordando che spesso le sollecitazioni di parte impediscono il cambiamento. Intanto le talpe scavano nei Ministeri. Entrano, ascoltano e poi escono con quantità incredibili di informazioni. A volte assumono sembianze umane e siedono direttamente al tavolo con i massimi esponenti dei dicasteri, cercando di «mettere nel sacco» l’interlocutore, per poi diffondere a mezzo stampa dialoghi di ogni tipo. Quanto è accaduto al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ai danni del titolare del dicastero Adolfo Urso, non viene compreso nella sua gravità. Urso ha dovuto incaricare i suoi legali di presentare un esposto alla Procura della Repubblica per le registrazioni clandestine avvenute nel corso di riunioni «su temi di rilevanza per lo Stato, presso il suo ufficio e quello del Capo di Gabinetto».

 

 

Senza entrare nel merito dell’utilizzo di quelli che una volta venivano definiti come “nastri”, la proliferazione delle tecnologie in grado di captare quanto viene detto tra le mura istituzionali richiede misure adeguate di difesa. Entrando in un Ministero bisognerà inserire in una busta sigillata i telefoni cellulari, come già accade per le proiezioni in anteprima dei film delle major internazionali. Potrebbe essere questa la prima soluzione per cercare di salvare i «contenuti sensibili» di conversazioni svolte all’interno dei palazzi del cosiddetto potere, già violati da Maria Rosaria Boccia con gli occhiali-telecamera Ray-Ban. Alla fine le vere vittime della profilazione razziale, oggetto di discussione in Europa a proposito delle sue forze di polizia italiane, sembrano essere alcuni ministri del governo Meloni.

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