giustizia politicizzata

Mail anti Meloni del magistrato, Nordio: “Al vaglio l’invio di ispettori”

Rita Cavallaro

Il caso del Meloni-mail finisce in Parlamento, con la dura critica del Guardasigilli sull’assalto al governo delle toghe rosse. Al centro del question time del ministro Carlo Nordio lo scoop de Il Tempo, quella mail in cui il procuratore della Cassazione, Marco Patarnello, ha definito la presidente del Consiglio Giorgia Meloni molto più pericolosa di Silvio Berlusconi, perché «non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche eque sto la rende molto più forte. E rende anche molto più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto». Parole di un big di Magistratura Democratica, la corrente di sinistra abituata ad avanzare a colpi di inchieste con l'avversario politico, che hanno innalzato lo scontro tra governo e toghe. E sulle quali, ieri, Nordio è intervenuto con decisione: «La lettera inviata sulla mail desta non poco stupore e come ex magistrato desta anche un certo dolore», ha detto il Guardasigilli ai deputati a Montecitorio, rispondendo a un’interrogazione del capogruppo di FdI alla Camera sulle iniziative in relazione alla vicenda Patarnello. «Affermare che il presidente del Consiglio, proprio per ché non ha inchieste giudiziarie in corso a suo carico, è un pericolo maggiore di quello dell’onorevole Berlusconi e dobbiamo porvi rimedio, sono frasi di una gravità da prendere in considerazione».

 

  

 

Il Guardasigilli ha dunque annunciato che la vicenda della mail di Patarnello è ora «al vaglio per la verifica dei presupposti per l'esercizio dei poteri ispettivi che la legge riserva al ministro della Giustizia». Nordio, insomma, potrebbe intervenire sul caso che ha fatto scoppiare lo scandalo e rafforzato le dichiarazioni proprio di Silvio Berlusconi, il politico più perseguitato dai giudici che lanciava l'allarme sulle toghe rosse, definendole il braccio armato della sinistra incapace di vincere nelle urne. «È molto indicativo, per la provenienza di tale affermazione, del clima istituzionale che vive la nostra democrazia», ha aggiunto Nordio, ponendo l’accento sul fatto che «il presidente Meloni è stata eletta dal popolo e compito del giudice è solo quello di applicare la legge, tanto meno quello di cercare di porre di rimedio al risultato della volontà popolare». E ancora: «Occorre sapere esercitare capacità di mediazione e di sintesi e questo è parte essenziale della vita democratica, poiché le istituzioni appartengono e rispondono all'intera collettività e tutti devono potersi riconoscere».

 

 

Il Guardasigilli ha infine ricordato la magistratura di un tempo troppo lontano, prima di Tangentopoli e dello strapotere delle correnti. «Quando sono entrato in magistratura nel 1976, la magistratura, il prestigio della magistratura, godeva del consenso di oltre l’80 per cento dei cittadini italiani, pari e qualche volta superiore a quello della chiesa cattolica», ha precisato il ministro. «Oggi è precipitato, per rispetto verso i miei ex colleghi non lo voglio neanche citare», ha aggiunto con rammarico, concludendo il question time alla Camera con questa che ha definito una «valutazione amara». Sulla vicenda, allora, ha preso la parola Foti: «Se qualcuno vuol fare politica, e nessuno nega che un magistrato possa farlo, la faccia, però lasciando l’incarico che attualmente ricopre e non utilizzandolo per esercitare un ruolo politico all’interno della magistratura», e ha definito l’intervento di Nordio «oltremodo puntuale» precisando che «noi non cerchiamo vendette nei confronti di nessuno, ma chiediamo soltanto che il giudice sia e rimanga terzo secondo Costituzione». Infine, è caos tra le toghe. Il presidente dell’Anm tenta un riequilibrio nella categoria spaccata da quel manifesto politico di Patarnello: «Non c’è nessun pericolo - garantisce Giuseppe Santalucia - Il termine "pericolosa" non è assolutamente adeguato. L’affermazione di Patarnello si presta ad equivoci». E aggiunge: «Il presidente del Consiglio non è mai un avversario da fermare o da combattere, ma un interlocutore istituzionale da rispettare».