migranti in albania

Albania, lo stop dei giudici un regalo per Meloni. Ora cambino le regole

Roberto Arditti

Le sentenze, quando riguardano aspetti rilevanti della vita istituzionale, hanno sempre un lato politico: chi ne dubita si rilegga le pagine di Platone sul processo a Socrate del 399 a.C. Quindi non c’è scandalo nel ragionare in termini politici sulla decisione del Tribunale di Roma che impone il ritorno sul suolo italiano dei migranti portati nella nuova struttura costruita in Albania.

Anche perché le sentenze si rispettano, non c’è discussione sul punto, ma sono giustamente oggetto di dibattito: in democrazia nulla è avulso dal confronto libero delle idee. La decisione del Tribunale colpisce duramente il progetto del governo, mettendolo in una condizione di significativa difficoltà politica, giuridica e amministrativa, poiché rende, allo stato attuale delle cose, sostanzialmente inutilizzabili (e quindi inutili) i centri di smistamento appena costruiti: non v’è dubbio su questo.

  

 

Credo però che tanto il Presidente del Consiglio Meloni quanto il Ministro dell’Interno Piantedosi dovrebbero indirizzare un gentile omaggio all’ufficio giudiziario che li ha messi nelle condizioni attuali: ora spiego perché. Non c’è credenza più falsa di quella secondo cui una volta vinte le elezioni ci si trova automaticamente nella stanza dei bottoni, sapendo per filo e per segno cosa fare, trovando tutti gli strumenti utili pronti all’uso. Le cose non stanno così, soprattutto in Italia e soprattutto per le forze politiche di destra, che sono da tempo forti sul piano elettorale ma fragili nella gestione reale del potere.

Ecco quindi la ragione per cui al governo dovrebbero dispiacersi il giusto, quindi non più di tanto, per la decisione del tribunale. Quella sentenza obbliga l’esecutivo (ed in particolare le strutture tecnico giuridiche della Presidenza del Consiglio, del Ministero dell’Interno e del Ministero della Giustizia) ad uno sforzo che è insieme politico e normativo, affinché i tribunali si trovino ad utilizzare norme che rendono applicabili nel concreto le scelte del governo. Non c’è scampo per chi vuole davvero governare: le scelte politiche devono tradursi in norme ben scritte, semplicemente utilizzabili dalle diverse amministrazioni ed anche capaci di resistere ad ogni forma di contestazione nelle sedi ove essa può manifestarsi. Quindi adesso comincia la sfida vera: aggiustare l’impianto normativo.

 

Una sfida che è particolarmente significativa perla coalizione che ha vinto le elezioni nel 2022, essa infatti governa per la prima volta in assoluto, con molti ministri alla prima esperienza. Non c’è motivo di farla troppo lunga: la destra italiana deve confrontarsi fino in fondo con la complessità del governare. Il che significa (anche) prendere le misure a quelle componenti del sistema di potere nazionale che possono opporre visioni alternative: la magistratura partecipa a pieno titolo alla vita democratica, negarlo significa mentire sapendo di mentire.

Faccia dunque il prossimo Consiglio dei Ministri il suo mestiere, agisca sulle regole (rispettando la Costituzione e i trattati internazionali) d’intesa con il Parlamento, consentendo così alle scelte politiche della maggioranza di diventare atti amministrativi inattaccabili. L’emergenza migrazione è eccezionale, come tale richiede strumenti eccezionali per la gestione. In Europa l’hanno capito in molti, non ancora tutti. Intanto però l’Italia faccia la sua parte.