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Migranti, sinistra e Ong rosicano: quanto si risparmia con il modello Albania

Dario Martini
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La sinistra grida allo «spreco» e alla «violazione dei diritti» dei migranti. Le Ong tutto ad un tratto si sentono scivolare la terra sotto ai piedi (o forse sarebbe meglio dire l’acqua). Una "rosicata" gigantesca frutto dell’arrivo dei primi sedici migranti in Albania, dove il governo italiano ha costruito due centri, uno per l’identificazione e uno per i rimpatri. Eppure, tutto è tranne che un grande spreco. Le opposizioni parlano di 800 milioni buttati via, ma in realtà questo è il dato stimato in cinque anni. Come ha ricordato il ministro Matteo Piantedosi, chiamato ieri a fare chiarezza nel question time alla Camera, l’ammontare esatto è di 134 milioni l’anno. Una cifra di sicuro di gran lunga inferiore al miliardo e settecento milioni che ogni anno il nostro Paese spende per la prima accoglienza dei migranti. «È quanto il governo in carica ha ereditato da epoche precedenti di rassegnazione ed assenza di ogni qualsivoglia reazione agli arrivi massicci e incontrollati», ha spiegato il titolare del Viminale. Perché la ratio dei due centri in Albania è soprattutto una: disincentivare le partenze dei barconi dalle coste africane.

 

 

Come confermato dallo stesso Piantedosi: «Quello con l’Albania è un protocollo che risponde ad esigenze di prevenzione e contrasto dei flussi migratori irregolari e potrà svolgere un’importante funzione di deterrenza rispetto al traffico illecito di migranti che quei flussi alimenta. Con ciò, determinando, in prospettiva, benefici che si rifletteranno anche sul lavoro ed i compiti delle Forze di polizia». E ancora: «È uno stanziamento che sicuramente tiene conto della collocazione geografica delle strutture, ma va peraltro considerato che riguarda un impianto polifunzionale, un unicum, che assolverà ad una quadruplice funzione - ha aggiunto - hotspot di sbarco, luogo di trattenimento per procedure accelerate, Cpr e struttura carceraria. Si tratta di un investimento che, sul lungo periodo, dovrà consentire di abbattere le spese della gestione di prima accoglienza straordinaria», pari appunto, «a 1,7 miliardi l’anno». Non è un caso che anche Ursula von der Leyen, come ha ricordato il ministro dell’Interno, apprezzi l’iniziativa e 15 membri Ue la stanno seguendo con attenzione. La stessa attenzione che stanno mostrando i giornali esteri, dal New York Times in America al Guardian in Inghilterra.

 

 

Il business dell’accoglienza, che la sinistra ha incentivato negli scorsi anni, è molto remunerativo. Basti pensare che lo Stato spende subito 350 euro allo sbarco di ogni migrante, per fornirgli kit d’ingresso tra biancheria intima, beni di prima necessità per la pulizia, abiti e scarpe e poi ancora alloggio e cibarie, un pocket money di 2,50 euro che sarà quotidiano e una ricarica telefonica. Cifra che lievita a 945 euro (secondo le ultime stime dello scorso anno) nell’arco del mese. In Italia sono presenti 2.790 strutture residenziali di accoglienza, mentre altre 440 sono non residenziali. Ovviamente, stiamo parlando di coloro che operano nella legalità. Perché, come hanno raccontato molte inchieste negli ultimi anni, c’è anche chi ci lucra in modo illegale. Quando parliamo di contrasto dell’immigrazione illegale, l’altro risvolto della medaglia è la lotta al fondamentalismo islamico. Anche di questo ha parlato ieri Piantedosi a Montecitorio ricordando l’espulsione dell’imam di Bologna, il pachistano Zulfiqar Khan. «Poteva favorire pericolosi infiltrati», ha spiegato. Nell’ultimo anno sono stati espulsi 69 stranieri per estremismo religioso.

 

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