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7 ottobre, parla il Rabbino Di Segni: "Nella nostra società i fiancheggiatori di Hamas"

Dario Martini
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Oggi, 7 ottobre, al Tempio Maggiore di Roma si tiene la cerimonia commemorativa a un anno dalla strage compiuta da Hamas. Un anno in cui l’odio anti ebraico è riaffiorato con tutta la sua forza nelle nostre società occidentali, Italia compresa. Ne abbiamo parlato con il Rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, proprio all’indomani della manifestazione "Pro Pal" che si è trasformata in guerriglia urbana contro le forze dell’ordine.

Rabbino Di Segni, come avete vissuto quest’ultimo anno, la comunità ebraica ha avvertito solidarietà o si sente minacciata?
«Mantenere la memoria è fondamentale. In questo caso si commemorano le vittime di un massacro. Abbiamo vissuto quest’anno con una preoccupazione e un’angoscia continua, perché gli eventi si sono succeduti con gravità e grande frequenza. Gli strascichi locali sono stati notevoli e impressionanti e quindi siamo stati coinvolti sia dal punto di vista emotivo, affettivo e in più in generale per la preoccupazione per ciò che sta accadendo. Abbiamo avuto entrambe le risposte: molte manifestazioni di simpatia e solidarietà e molte manifestazioni di dissenso più o meno forte e anche di ostilità».

Si aspettava questa ostilità?
«Assolutamente sì, fa parte dello scenario. Ma aspettarsela non vuol dire che sia gradita».

Oltre alla violenza, che effetto le ha fatto vedere le bandiere di Hezbollah ieri in piazza a Roma accompagnate da cori antisemiti?
«È cronaca di una morte annunciata. È l’evoluzione naturale di una lunga preparazione dell’opinione pubblica».

In che senso?
«È stata orchestrata una campagna di disinformazione a senso unico. Da una parte il vittimismo, dall’altra il sovvertimento del problema. I fatti sono stati presentati con un’efficace intelligenza propagandistica. Si chiamano "Pro Pal", ma le persone che stavano a quella manifestazione non hanno affatto l’intenzione di stabilire una convivenza pacifica tra due Stati di cui tutti si riempiono la bocca. Hanno semplicemente l’intenzione di distruggere lo Stato d’Israele.
E questo ieri a Roma trapelava con grande evidenza».

Si è molto discusso dell’opportunità di permettere questo tipo di manifestazione proprio alla vigilia del 7 ottobre. A sinistra hanno chiesto di non vietarla, lei è d’accordo?
«Non le rispondo con una questione di principio ma con una valutazione del tutto personale. Io l’avrei fatta fare affinché si chiarisse subito che tipo di persone hanno manifestato, in che modo e che cosa hanno detto. E difatti si è visto».

C’è un problema di antisemitismo in Italia e in Europa? E, nel caso, quali sono le ragioni?
«L’antisemitismo c’è sempre stato e continua ad esserci. In questi ultimi tempi di crisi è emerso in superficie e non è stato più inibito da certi tipi di freni. La propaganda ha fatto sì che non ci si vergogni più di sentimenti di chiara ostilità verso gli ebrei».

Chi è che orchestra questa propaganda?
«C’è sicuramente tutto il blocco che va dall’Iran fino a Hezbollah e Hamas».

Ma nelle nostre società occidentali e in Italia non ci sono Hezbollah e Hamas.
«Però ci sono i fiancheggiatori, i finanziatori e infine le persone che lo fanno per passione».

A Gaza ci sono ancora molti ostaggi, intanto Israele combatte in Libano. Si sente di rivolgere un appello alle parti in conflitto?
«Trovo un po’ ridicolo il fatto che io faccia appelli ai grandi che si affrontano. Ma nell’ipotesi del tutto teorica che qualcuno mi stia ascoltando, l’unica cosa che vorrei è la fine delle ostilità, liberare gli ostaggi e rinunciare a propositi distruttivi».

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