crollo verticale
M5S all’ultimo compleanno. Conte prepara il vaffa a Grillo, ora il simbolo è a rischio
Ha fatto vedere le stelle alla politica. Alla buona politica, s’intende. Il Movimento 5 Stelle compie 15 anni. È un adolescente che ha perso tutta l’energia con cui era nato, a Milano, il 4 ottobre 2009. Al principio erano Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Il comico castigamatti (che aveva già registrato un Movimento Amici di Beppe Grillo nel 2005) e l’imprenditore visionario ingolosito dall’esperimento della democrazia diretta applicata alla rete. Animati dalle migliori intenzioni, trasformarono la loro startup, iniziata con i MeetUp – colorite e festose piazze autoconvocate – nella bocca di fuoco del mugugno popolare, convogliata nel Vaffa indistinto al potere, al Palazzo. Una trasposizione estetico-elettorale del malumore diffuso che aveva, a sentire chi c’era tra i primi, perfino l’ambizione di «costituire un argine al populismo». «Dovete scrivere di noi solo come MoVimento con la M e la V maiuscola», l’indicazione perentoria consegnata alle redazioni nel 2013. Già nel paradosso di un partito che rinnega i partiti, che fa politica senza avere alcuna esperienza politica, erano leggibili le premesse del fallimento. Una parabola, per la verità, fatta di alti e bassi.
Con una veloce conquista del Parlamento – da «aprire come una scatoletta di tonno»– e poi due volte del governo con il Conte I e il Conte II. Raggiunti gli 8.688.000 elettori nel 2013, nel 2018 diventa il primo partito politico italiano con 11 milioni di voti. Luigi Di Majo, che ha sbancato le urne, guida la fase governista. Quando Alfonso Bonafede gli presenta Giuseppe Conte, giurista e docente cresciuto all’ombra di Guido Alpa, il M5S non ci pensa due volte e lo mette, in quattro e quattr’otto, a capo del governo gialloverde. Inizia così il cambio pelle del Movimento, sempre meno grillino e sempre più contiano. Grillo viene a Roma per incontrare parlamentari e ministri ma fatica a tenere le redini. Intuito l’andazzo, Di Mio cede il passo a fine gennaio 2020, al termine di una cerimonia in cui si scioglie la cravatta e passa la guida all’Avvocato del popolo. Casaleggio Associati viene estromessa. La piattaforma Rousseau è spenta. Il governo con la Lega finisce, inizia quello con il Pd. Conte rimane in sella finché Matteo Renzi non gli stacca la spina. Gli iscritti del Movimento passano da oltre duecentomila a circa la metà. Si moltiplicano le faide interne, i dissidenti se la prendono con il nuovo corso. E quando si va a votare, nell’ottobre di due anni fa, degli undici milioni di elettori ne rimane un terzo. Che si riducono ulteriormente. Alle europee scorse, se ne contano solo 2.327.000.
Come recitava il verso di un’opera burlesca del Settecento: «Chi troppo in alto sal, cade sovente precipitevolissimevolmente». I primi leader del Movimento si sono allontanati. Alessandro Di Battista non ne vuole più sapere. Virginia Raggi si mette a capo dei grillini contro i contiani, la minoranza interna. Di Maio, dopo aver promosso una scissione, diventa Rappresentante speciale dell'Unione europea per il Golfo Persico. Il Garante Grillo, che ha depositato a sua firma il simbolo, è in aperto dissidio con Conte. «Per trecentomila buone ragioni», ironizza Di Maio. Il rapporto che lega Grillo ai gruppi parlamentari in cambio di una consulenza sulla comunicazione è appeso a un filo. Giuseppe Conte celebra, con questi quindici anni, sé stesso. Minaccia il Garante di rescindergli il contratto. E festeggia dichiarando: «Credo che il modo più bello per festeggiare le nostre idee sia quello di presentarsi come gli innovatori. Il M5S non deve invecchiare mai, dobbiamo sempre riscoprirci e rinnovarci». Gli replica, nostalgico, Grillo: «Ecco il Movimento Cinque Stelle!» dice postando le immagini del suo spettacolo dell’ottobre 2009 in cui annunciava la nascita della “sua” creatura. Quindici anni dopo se la vede sfilare da Conte. I Vaffa, per nemesi estrema della storia, adesso sono tutti tra di loro.