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Schlein fregata dagli alleati: anche Avs dice no a Renzi. E Conte lancia Costa

Mira Brunello
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Giuseppe Conte è stato di parola, d’altra parte non si poteva permettere passi falsi. Fin da agosto si era capito che sulla Liguria, l’avvocato faceva sul serio, un avviso che gli alleati, a partire da Andrea Orlando, non avevano ben compreso. Eppure i segnali erano sotto gli occhi di tutti: troppo impervio il percorso, per di più proprio nella regione di Beppe Grillo, per poter contemplare compromessi con il nemico giurato: Matteo Renzi. Anche la lista «mascherata» accolta dal «compassionevole» ex ministro dem avrebbe potuto prestare il fianco agli strali dell’ex comico, impossibile procedere. L’ex presidente del Consiglio così ha vinto la sua scommessa, ha messo Elly Schlein alle strette, ed ha conquistato la posta piena. Un precedente che fa «storia», Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, gli andranno dietro. Nel senso che lo sbarramento al leader di Italia Viva varrà per il futuro anche altrove. L’unica eccezione in cui si potrà chiudere un occhio è l’Umbria dove il campo largo di fatto candiderà una civica d’area, Stefania Proietti.

 

L’alleanza di centro sinistra, secondo l’avvocato di Volturara Appula, è certificata e a numero chiuso e soprattutto senza l’ex sindaco di Firenze. O non sarà, ed allora tanti saluti alla segretaria del Pd, che inevitabilmente andrà incontro allo stesso destino del suo predecessore, Enrico Letta, che si «vendicò» della caduta del governo Draghi, proprio con i 5 Stelle. Andando così incontro aduna robusta sconfitta inferta da Giorgia Meloni.

Un messaggio chiaro al Nazareno, che rischia di diventare ancora più pesante perché anche gli «amici» di Alleanza Verdi e Sinistra la pensano allo stesso modo.
Tradotto in pratica, vorrebbe dire passare dal cosiddetto campo largo, ad un campetto «scalcinato», in cui gli unici possibili alleati del Pd potrebbero essere due leader che si odiano: Matteo Renzi e Carlo Calenda. Uno scenario da incubo, naturalmente, ma che comunque significa che il ruolo di «federatrice» che Elly Schlein si è auto assegnata, è clamorosamente fallito. Secondo Campo Marzio è un’altra battaglia vinta di Giuseppe Conte, dimostrare che la leadership vantata dal Nazareno nella realtà non sta in piedi. Non a caso, a 24 ore dal diktat genovese, comincia a circolare il nome del prossimo candidato alla successione di Vincenzo De Luca in Campania (si voterà tra un anno). Ed è quello dell’ex ministro dell’ambiente M5S Sergio Costa. La strategia adottata dall’ex presidente del consiglio con la pochette è giocare d’anticipo. In pratica modello Sardegna, la regione in cui impose la sua Alessandra Todde, mettendo a tacere le iniziali rimostranze dem. O mangiano questa minestra o saltano dalla finestra, non esistono terze ipotesi. A costo di perdere i voti «centristi», che come successe alle regionali in Basilicata, anche in Liguria verosimilmente andranno tutti al candidato di centrodestra Marco Bucci, che ha a suo sostegno una lista civica con esponenti di primo piano usciti da Italia Viva e da Azione (e non «mascherati»).

 

Un avvertimento che è arrivato anche in Toscana: il segretario regionale dem Emiliano Fossi nei giorni scorsi aveva esplicitamente detto no alle primarie. Che vorrebbe dire ricandidatura certa per il governatore uscente Eugenio Giani. Che per l’appunto a M5S ed Avs non piace, anche per il «vizio» di origine, Giani nel 2020 fu indicato proprio da Renzi. Morale della favola è che anche a Firenze si dovrà tornare a discutere. Almeno fino a quando Elly Schlein non prenderà una decisione chiara, o con i fondatori del campo «giusto» (come lo chiama Conte) o con i «traditori» centristi.

«Non siamo i cespugli del Nazareno», affermano in coro l’ex presidente del Consiglio ed i «gemelli» Fratoianni e Bonelli. La foto dei leader di mercoledì scorso davanti alla Cassazione per la consegna delle firme per il referendum abrogativo dell’autonomia differenziata rischia di essere l’epilogo di una storia breve. Campo largo, addio.

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