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Campo largo, dalla Rai all'Ucraina così Schlein resta sola. E Conte si smarca

Mira Brunello
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Tanta fatica per nulla, la segretaria non ha sentito ragioni. Si racconta nei corridoi di Palazzo Carpegna, al primo piano, dove si affacciano gli uffici del gruppo Pd in Senato, che Dario Franceschini e Francesco Boccia abbiano sudato sette camicie per convincerla. Soprattutto dopo che ormai era chiaro che Giuseppe Conte e persino Angelo Bonelli sarebbero entrati in aula ed eletto due consiglieri, il sempreverde Roberto Natale e l’uscente Alessandro Di Majo. Il capogruppo e l’ex ministro le hanno provate tutte, usando anche qualche "esca" per attirare l’attenzione dell’inquilina del Nazareno: il giornalista ex Repubblica Goffredo De Marchis e l’ex sottosegretario lucano Salvatore Margiotta. Elly ha tenuto duro, nessuna concessione, ed i due hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Una sorta di "arboriano" non capisco ma mi adeguo che riguarda anche Pierferdinando Casini, che a L’Aria che tira, ha ammesso: «Non sono andato a votare ma non ho capito perché». Riservandosi la stoccata finale verso la segretaria: «pensava di avere gli applausi contro la lottizzazione della Rai. Io di applausi non ne vedo». Insomma un bilancio fallimentare e non solo per gli assetti del servizio pubblico, soprattutto per l’implosione delle alleanze.

 

 

Che dalle parti di Campo Marzio spiegano in un altro modo: «la segretaria del Pd si sta dimostrando completamente inadeguata, Giuseppe Conte è stato costretto a riprendersi la sua totale autonomia». Una scuola di pensiero in Italia Viva accredita l’ipotesi che alla fine Conte vada da solo, rompendo il sodalizio con i dem, in pratica una riedizione del ‘22 (con più del 15% per il M5S). Un’eventualità che costringerebbe Elly ad un’alleanza bonsai, modello Enrico Letta, un incubo per il Nazareno. Certo di crepe sono piene le cronache delle ultime settimane, dalla decisione del leader 5 stelle di non firmare il referendum sulla cittadinanza, ai continui scambi polemici sulla politica internazionale (guerra in Ucraina in primis). Nulla di paragonabile alla devastazione prodotta dalle ultime 48 ore in Parlamento. Naturalmente, i parlamentari dem sono abbottonati, la consegna è di non mettere in discussione la segretaria, ma i sussurri in bouvette si sprecano. Come davanti ad un lettino dello psicanalista, si discute del carattere dell’Imprevista: «si muove come una studentessa radical, non riesce ad essere flessibile, ha una cosa in testa e non valuta neanche le varianti». A non votare il cda Rai, il Pd, infatti, è rimasto da solo con Italia Viva ed Azione, una manciata di parlamentari in più.

 

 

Ora poi si entra nel giro delle elezioni regionali, quelle di autunno e quelle del prossimo anno. Con il leader 5 stelle tornato molto combattivo, per il Nazareno non sarà facilissimo definire le alleanze. Di certo non sarà più possibile quello che è successo in Liguria, Umbria ed Emilia Romagna: tre regioni, tre candidati del Pd. Per Giuseppe Conte torna in auge il modello sardo, quello in cui riuscì a vincere le resistenze e a candidare la sua Alessandra Todde. Finito il tempo delle cortesie e della disciplina: la leadership si conquista nel vivo della battaglia ed Elly finora ha segnato solo un gol in fuorigioco alla partita del Cuore, si rincuorano i pentastellati. Insomma, il divertimento sarà assicurato. L’unico problema per il capo dei pentastellati sono i malumori sempre più diffusi all’interno della base. Davide Casaleggio, il figlio di Gianroberto, il padre di Rousseau, ad esempio, sostiene che sia «arrivato il momento di dichiarare chiusa l’esperienza del Movimento 5 Stelle».

 

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