inchiesta sul "verminaio"
Inchiesta dossier, Lega il partito più spiato: quanti fascicoli riguardano il Carroccio
Quei nomi spulciati ossessivamente, setacciati con accessi abusivi plurimi e continuati, in modo da non farsi sfuggire, fino all’ultimo minuto, l’alert di una segnalazione per operazione sospetta, un accertamento di polizia e perfino un controllo stradale. I nuovi atti della Procura di Perugia delineano il modus operandi che Pasquale Striano metteva in atto in quel verminaio dell'Antimafia, per trafugare documenti su politici di centrodestra e vip e passarli agli amici giornalisti di Domani, indagati in concorso con il finanziere e con l’ex pm Antonio Laudati perché, secondo gli inquirenti, erano loro a chiedere le ricerche illecite sul sistema analisti per carpire dati riservati diventati poi inchieste giornalistiche.
In quelle migliaia di pagine trasmesse dal procuratore Raffaele Cantone alla Commissione Antimafia, che indaga sullo scandalo dossieraggio, sono elencati, con data e ora, tutti gli accessi abusivi che il capo degli spioni ha effettuato, dal 2018 al 2022, su politici che nulla avevano a che fare con la mafia o il terrorismo, ma che sono finiti nel frullatore della centrale del dossieraggio nei momenti cruciali della vita democratica del Paese.
E non è un caso, come certificano mesi di approfondimenti, che la Lega di Matteo Salvini sia il partito più dossierato, da quando ha attirato l’attenzione degli spioni con l’exploit alle elezioni del 2018. Dagli atti, infatti, emerge che dei 172 bersagli mediatamente esposti, trentotto sono esponenti del Carroccio, oggetto di centinaia di intrusioni illecite al sistema analisti, dal quale il finanziere ha scaricato una miriade di documenti riservati inviati poi al cronisti di Domani, il quotidiano che si è distinto per la campagna massiccia contro la Lega. E emerge un altro aspetto inquietante, in grado di addensare l'ipotesi di un vero e proprio dossieraggio sul Carroccio: un fascicolo sul partito di Salvini sarebbe rimasto alla Procura nazionale Antimafia per diversi mesi, quando il capo era Federico Cafiero De Raho, nel periodo in cui il leader del Carroccio era ministro dell'Interno del governo Conte 1 ed era finito nel mirino delle toghe rosse per la politica dei porti chiusi.
A ulteriore conferma la chat di Luca Palamara, il quale, rispondendo al procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma che sottolineava di non vedere «dove Salvini stia sbagliando», rispondeva che «comunque va attaccato». Insomma, un accerchiamento politico-giudiziario-mediatico che l’ossessività delle intrusioni illecite degli spioni sembrano rafforzare. E ora l'inchiesta prosegue nel massimo riserbo, a caccia dei mandanti, dei complici e anche dei destinatari. Perché oltre alle centinaia di file inviati da Striano a Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine, che lavora anche per il Fatto quotidiano, ci sarebbero altri giornalisti della rete del finanziere che hanno usato lo spione dagli accessi comandati come fonte delle loro esclusive.
A preoccupare gli investigatori ci sono inoltre i 220mila file scaricati dall'indagato e spariti nel nulla, un pozzo senza fondo che il procuratore Cantone ha depositato al Riesame martedì scorso, giorno in cui i giudici della Libertà avrebbero dovuto esprimersi sulla richiesta della Procura di arrestare Striano e Laudati, sulla base del pericolo di inquinamento delle prove, ravvisato per tutte e due gli indagati, e della reiterazione del reato, ipotizzata solo per Striano. L’udienza è stata rinviata al prossimo 12 novembre proprio a seguito del deposito di quella mole di documenti, che i giudici dovranno ora vagliare. Mentre da Perugia cercano di risolvere il mistero su dove sia stata dirottata quell’enorme mole di file che non si sono tradotti in articoli su Domani e dei quali, al momento, non c'è prova documentale di avvenuto scambio. In definitiva, ci sono oltre 220mila atti che Striano avrebbe trafugato dai sistemi analisti e che, ad oggi, non si sa dove possano essere finiti. Così com’è ancora in corso la caccia ai mandanti.