Palestina, gli amici di Hamas sfidano il Viminale. E il Pd tace ancora sulla deriva antisemita
Divieti o non divieti il 5 ottobre i pro Palestina scenderanno in piazza. Dopo la notifica di stop, da parte della Questura di Roma, su disposizione del Viminale, ai promotori di due distinte manifestazioni organizzate nella Capitale, sale la tensione. I gruppi filo-palestinesi, infatti, non hanno gradito il provvedimento di San Vitale e promettono di non rispettare quello che definiscono un «divieto politico» messo in campo da un governo «complice» di Israele che usa la «repressione per mettere a tacere ogni forma di solidarietà nei confronti del popolo palestinese». La decisione della Questura, arrivata dopo un Comitato per l’ordine e la sicurezza tenutosi al Viminale, ha considerato i rischi legati all’ordine pubblico rappresentato da possibili frange antisemite e celebrazione della strage commessa il 7 ottobre 2023 da parte di Hamas contro Israele. Una data che i pro Palestina definiscono «rivoluzionaria» nonostante gli ebrei uccisi e rapiti dal gruppo terroristico.
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Dallo scoppio della guerra nella Striscia di Gaza a Roma, e in tutta Italia, si sono svolte centinaia di manifestazioni e cortei a favore dei palestinesi durante i quali, spesso, si è inneggiato ad Hamas e sono state bruciate le bandiere israeliane. E dopo la lista delle entità filo-israeliane in Italia pubblicata dal Nuovo Partito Comunista, per alcuni transfughi dei CARC, l’onda di odio verso gli ebrei preoccupa. E dalle varie realtà coinvolte nelle manifestazioni pro Palestina, parte anche l’attacco al governo Meloni, nel silenzio del Pd di Elly Schlein che anche sul provvedimento della Questura di Roma, teso a salvaguardare l’ordine pubblico, preferisce tacere. Sul sito dei CARC, il Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza per il Comunismo, si legge: «La faccia sul divieto ce l’ha messa il Questore di Roma, Roberto Masucci, ma è solo un patetico tentativo di intorbidire le acque con l’obiettivo di "derubricare il divieto" a questione metropolitana e sottrarre il governo Meloni dalle sue responsabilità. Ma il divieto sul corteo porta le firme di Giorgia Meloni e Matteo Piantedosi. Ed è conosciuto anche il mandante: la comunità sionista che opera in Italia. Sono italiani anche loro, cantano l’inno con Fratelli d’Italia, ma obbediscono agli ordini di un altro paese, lo Stato illegittimo di Israele, e mandano i loro figli, quelli con doppio passaporto e cittadinanza italiana, a compiere massacri in Palestina, a contribuire in prima persona al genocidio in corso contro il popolo palestinese e all’aggressione al popolo libanese».
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Un clima incandescente che va avanti dall’inizio del conflitto in Medio Oriente dove anche una certa politica non ha contribuito a placare gli animi con posizioni affatto equidistanti. In un recente post su X (ex Twitter), Laura Boldrini accusa il governo Meloni: «Ho chiesto che Tajani venga a riferire in aula su quello che sta succedendo in Libano dove Netanyahu sta bombardando, dopo aver fatto esplodere cercapersone e walkie-talkie colpendo centinaia di persone che nulla hanno a che fare con Hezbollah, incendiando il Medioriente al solo scopo di mantenere il proprio potere. Non gli sono bastati gli oltre 42mila persone uccise a Gaza, in maggioranza donne e bambini. E non gli sono bastate neanche le incursioni violente dell’esercito e dei coloni contro i palestinesi della Cisgiordania. Né l’atto gravissimo di inviare i militari a Ramallah per sospendere le trasmissioni di Al Jazeera». Azioni che il governo di Netanyahu ha messo in campo dopo la strage del 7 ottobre 2023 perpetrata dai terroristi di Hamas e il lancio continuo di missili dal Libano da parte degli altrettanto terroristi di Hezbollah, legati a doppio filo al regime di Teheran.
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