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Sgarbi prosciolto per il quadro: “Non sono pentito di essermi dimesso, ma avrei voluto continuare”

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Giuseppe China
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Si è concluso con sentenza di non luogo a procedere il procedimento a carico dell’ex sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali Vittorio Sgarbi e della sua compagna Sabrina Colle, accusati dalla Procura di Roma di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte per una somma di 715mila euro. Al centro dell’inchiesta della magistratura capitolina c’era l’acquisto di un quadro, «Il giardino delle fate» firmato da Vittorio Zecchin e pagato 148mila euro alla casa d’aste Della Rocca, che secondo i pm sarebbe stato comprato dal critico d’arte nel 2020 facendo figurare la fidanzata come acquirente grazie al denaro di una terza persona (Corrado Sforza Fogliani, poi deceduto). Tesi non accolta dal giudice per l’udienza preliminare che ieri ha fatto cadere tutte le accuse nei confronti degli imputati, ritenendo dunque legittimo che, il trittico del 1913 realizzato dall’artista nato a Murano e considerato uno tra i maggiori esponenti del liberty veneziano, potesse essere intestato anche ad altre persone.

 

 

In più di un’occasione a proposito di questa storia il noto critico d’arte Sgarbi aveva dichiarato: «Il dipinto è stato donato da Corrado Sforza Fogliani come risulta da bonifico. Avrà diritto di avere un quadro? Io non ho mai partecipato all’asta. Il quadro è stato battuto dalla mia fidanzata, è intestato a lei, ed è notificato dallo Stato a suo nome. Lei batte il quadro e dopo un certo tempo, attende di pagarlo, ne parla con Sforza Fogliani che decide di regalarglielo». Smentita da un giudice la ricostruzione accusatoria che ruotava intorno all’articolo 11 della legge 74 del 2000 che punisce chiunque «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte» e «aliena simultaneamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva». Il fascicolo di inchiesta era stato aperto l’anno scorso anche grazie alla presenza del quadro all’interno del Calendario 2022 edito da «Il Cigno» edizioni e curato dallo stesso Sgarbi. Ieri al termine dell’udienza il suo legale Giampaolo Cicconi e quello di Sabrina Colle (Giuseppe Iannaccone) hanno affermato: «La decisione del gup di Roma ci lascia pienamente soddisfatti anche perché siamo in presenza della formula assolutoria più ampia. Con oggi speriamo si chiuda una vicenda giudiziaria che ha provocato sofferenze al mio assistito e alla sua compagna».

 

 

L’acquisto del «Giardino delle fate» e la vicenda di un quadro di Rutilio Manetti sono state al centro di una campagna mediatica per far dimettere l’ex sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali Sgarbi. A ciò bisogna aggiungere la pronuncia dell’Antitrust sulla sua incompatibilità nel ruolo di conferenziere. Contesto nel quale scaturiscono le dimissioni dello scorso 2 febbraio. «Un caso inesistente perché in quel periodo - ha dichiarato il critico d’arte a Il Tempo - ho acquistato molte opere d’arte e quella («Il giardino delle fate», ndr) era il dono di una persona generosa. Un amico e un grande banchiere (Corrado Sforza Fogliani, ndr). È stato creato un teorema e ieri un giudice l’ha chiuso sentenziando che il fatto non sussiste. All’Agenzia delle Entrate non avevo nulla da eludere». Pentito di essersi dimesso da sottosegretario ai Beni e alle Attività Culturali? «Più che pentito direi dispiaciuto. Avrei preferito - aggiunge il sindaco di Arpino - continuare, soprattutto adesso con un nuovo ministro (Alessandro Giuli e non Gennaro Sangiuliano titolare del dicastero all’epoca dell’incarico di Sgarbi, ndr) contribuendo con le specifiche della mia formazione. Della giustizia italiana si dice sempre - chiosa l’ex sottosegretario alla Cultura - che è una grande malata, nel mio caso invece è guarita».

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