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Meloni e i due anni di governo: conti rimessi in sesto e la svolta del merito. Ma c'è il nodo denatalità

Luigi Tivelli
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Allo scadere di due anni dall'inizio del governo, con Giorgia Meloni siamo passati dall'Italia del «non governo», degli esecutivi brevi e cadenti, ad un governo finalmente solido. Per fortuna, ha applicato il massimo possibile di beneficio di inventario all'eredità ricevuta. Non va, infatti, dimenticato che nella scorsa legislatura la spesa pubblica è aumentata più del 40% grazie anche ad enormi sfondamenti, come il bonus 110% e altri bonus regalati a casaccio dai governi Conte. Una sorta di Re Mida del deficit spending alla Carlona... Non solo. Meloni, che verso il governo Draghi aveva scelto una linea di opposizione aperta e dialogante, ha proseguito con forza nel raddrizzamento della spesa pubblica e nell'introduzione di una certa coerenza nei conti di finanza pubblica. Il ritorno ad un effettivo governo del Paese è avvenuto poi tramite l'ancoraggio di Meloni ad una ferma linea atlantica ed europeista specie, ma non solo, per quanto riguarda la posizione sull'Ucraina. Anche se nell'ultima fase è intervenuta qualche esitazione in seno alla sua maggioranza (che si spera sia presto risolta).

 

 

Il presidente del Consiglio ha avviato poi il cammino per il passaggio da una destra un po' sovranista a una destra tendenzialmente conservatrice, anche grazie all'ancoraggio europeo. Un cammino che ha visto qualche fibrillazione dovuto al gioco di scavalcamento a destra di Salvini in Italia e a quello dei Patriots rispetto all'Ecr in Europa. Ciò nonostante l'Italia dispone ora di un autorevole Commissario e Vicepresidente esecutivo della Commissione Europea ed è tornato ad essere consolidato il legame con la presidente della Commissione Europea Von Der Leyen. Va inoltre ricordato che sin dalla presentazione del suo governo alle Camere Meloni ha introdotto nel discorso politico due importanti novità: il concetto di «merito» e il concetto di «natalità», assegnando questi due termini come denominazione di due incarichi ministeriali chiave. Sul «merito» la sinistra del resto non aveva mai capito molto ed ha sempre avuto strani timori, mentre sulla «natalità» ben poco aveva fatto sin qui. Il nodo per Meloni è però oggi di come declinare per la scuola, per la pubblica amministrazione e per l'economia il valore e fattore del «merito», meglio se accoppiato a quello della «concorrenza».

 

 

Quanto alla natalità, in attesa del provvedimento-tampone della prossima manovra finanziaria, è chiaro che occorrono politiche di medio e lungo periodo. Il trabocchetto demografico che sta davanti all'Italia è gravissimo. Non solo perché abbiamo il record negativo di 1,2 figli per donna, e una demografia avversa, ma per i gravi effetti che ciò porterà per lo sviluppo economico e sociale futuro. È emerso infine per Meloni, a due anni di buona navigazione del suo governo, un serio problema di classe dirigente. Mentre nel PD si litiga e ci si spacca al proprio interno, magari sotto traccia, c'è il problema di dare davvero una classe dirigente degna di questo nome alla destra. Non a caso forse i ministri migliori di questo governo in quota Fratelli d'Italia sono Raffaele Fitto e Guido Crosetto, entrambi di sana scuola democristiana. Meloni mostra quindi di saper tenere la barra dritta per quanto riguarda il governo della finanza pubblica, anche alla luce dei nuovi vincoli europei. Essa però si trova di fronte a questo triangolo cruciale: merito-demografia-classe dirigente (sia quella politica che quella del Deep State). A questo proposito non dimentichiamo che Silvio Berlusconi, leader della coalizione di centrodestra prima di Meloni, era riuscito a fare diventare sostanzialmente maggioritario il metodo e il pensieri. Ebbene, forse qualche spruzzata di liberalismo in più servirebbe anche alla Meloni.

 

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