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Calenda ha perso Azione così. L'ultima chance rimasta: tornare nel Pd

Mira Brunello
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Quanta amarezza ora a sfogliare l’album dei ricordi. Come quelle mitiche quattro notti dell’agosto del 2022 in cui nacque il Terzo polo. Solo qualche giorno dopo l’ultima piroetta, il bacio al "povero" Enrico Letta e l’improvviso tradimento (uno dei tanti). La sede di Piazza del Gesù sembrava un porto di mare, renziani in tutte le stanze, i tavoli ingombri di carte e posaceneri pieni. Era l’apice della sua carriera, dopo la folgorante campagna elettorale romana, ed alla vigilia di quello che molti consideravano l’ingresso a pieno titolo nella Champions League della politica. Di lui dicevano parla chiaro, in Tv spacca, i giovani lo capiscono. Da allora ad oggi sembra passata un’era politica, in realtà solo due anni, l’ascesa di Azione, l’invenzione post moderna di un ex manager braccio destro di Luca Cordero di Montezemolo, e la sua rovinosa caduta. Altri tempi, il giorno dopo la "scossa", Piazza del Gesù è deserta, i pochi collaboratori rimasti, quelli che si occupano di grafica e social, hanno gli occhi bassi, come se fossero tramortiti. La botta è stata forte, quattro parlamentari, Enrico Costa (già tornato a Forza Italia) Mariastella Gelmini e Mara Carfagna (andranno con Maurizio Lupi a Noi Moderati) e Giusy Versace (probabilmente riaccolta da Tajani), in disaccordo sul campo largo ed un consigliere comunale della Capitale che abbandonano la nave in 48 ore, roba da giramenti di testa.

 

 

È ancora il tempo della rabbia, dello sfogo cattivo contro le ingrate, «le ho prese quando erano alla canna del gas con Silvio Berlusconi», dei sospetti sui pochi rimasti, che potrebbero andare via. Lui, il leader disarcionato, prima fa finta di niente, si fa accompagnare dal compagno di sventura Matteo Richetti all’assemblea annuale di Confindustria e per non perdere il vizio impartisce una lezioncina al volo alla Presidente del Consiglio, ma inutile insistere, il clima non è quello giusto. Quindi alla fine si sfoga, ed attacca a testa bassa le transfughe: «L’unico dispiacere è che quando si viene eletti all'opposizione, se si ha rispetto per gli elettori, normalmente non si passa in maggioranza a metà legislatura. Io non sono per il vincolo di mandato, devono fare le scelte che ritengono giuste. È chiaro che si tradisce il mandato elettorale e ne rispondono agli elettori». Inutile ignorare o nascondere le difficoltà, con il gruppo parlamentare ridotto al lumicino (a Palazzo Madama solo due senatori, oltre a Calenda, Marco Lombardo), anche l’agibilità politica di fatto è sotto scacco, a partire dalle liste per le regionali d’autunno. In pratica è un si salvi chi può.

 

 

Entrano nella blacklist di coloro che potrebbero seguire le ex ministre altri nomi, come quelli di Ettore Rosato e Giulia Pastorella. Il primo, nato all’ombra di Dario Franceschini, è stato poi il sergente di ferro di Matteo Renzi, capogruppo del Pd, organizzatore di Italia Viva, in seguito recuperato da Calenda, insieme ad Elena Bonetti. Naturalmente ora ha ripreso, o meglio non ha mai smesso di guardarsi intorno in cerca di approdi più tranquilli. La seconda, da sempre liberale, non stravede per la svolta a sinistra del suo segretario. A questo punto poi non è neanche più rilevante aggiornare la lista di coloro che potrebbero lasciare Azione, il tema è piuttosto che cosa farà lui, Carlo Calenda? Il leader che ha perso il partito sembra avere solo una soluzione: fare domanda ad Elly Schlein per essere riammesso al Nazareno, portandosi dietro sostanzialmente solo il capogruppo Matteo Richetti, d’altra parte entrambi vengono dal Pd. A vergare l’epitaffio, ironia della sorte, ci pensa Matteo Renzi: «Sappiamo che la scelta di Carlo Calenda di distruggere il Terzo polo era un errore. Ha iniziato con distruggere il Terzo polo, ora si distrugge anche Azione, ma è un problema loro».

 

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