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Crosetto e il caso 007: "Mi rompono le scatole? Io a loro. Non parlo più"

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Rita Cavallaro
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«Ministro, le stanno rompendo le scatole?». «No, sono io che le sto rompendo a loro». Chi vuole capire capisca. Perché con questa frase Guido Crosetto sceglie la via del silenzio, per mettere fine al giochino della sinistra che continua ad usarlo come il cavallo di Troia utile a imporre la falsa narrazione di tensioni all’interno del governo e di un’operazione di accerchiamento dei servizi segreti. Al punto che, nei giorni scorsi, il sottosegretario Alfredo Mantovano, l’Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica, è dovuto intervenire a gamba tesa, con una nota, condivisa con lo stesso Crosetto prima di darla in pasto alla stampa, in cui sottolineava la massima fiducia e collaborazione con l’Aise, il comparto per la sicurezza esterna. Una dichiarazione netta, volta a mettere fine alla montatura mediatica di uno pseudo caso Crosetto-Aise, frutto della strumentalizzazione di alcune esternazioni messe a verbale dal ministro della Difesa in un colloquio con il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, titolare del fascicolo nato proprio dall’esposto di Crosetto sul presunto dossieraggio all’Antimafia.

 

 

D’altronde il ministro, tra i padri fondatori di Fratelli d’Italia, non ha mai fatto mistero, fin dalla denuncia che ha aperto il vaso di Pandora del mercato delle Sos, di avere la convinzione che quelle intrusioni illecite alle banche dati, perpetrate ai suoi danni, fossero talmente invasive da aprire a scenari ancora più inquietanti di un gruppo di spioni intenti a passare documenti riservati ai giornalisti. E senza indugio, l’ha messo nero su bianco agli atti dell’inchiesta di Perugia, che va avanti con il massimo riserbo proprio per individuare mandanti e complici di quel verminaio che si era instillato Mila Sono le pagine inviate da Cantone alla Commissione Antimafia nel cuore investigativo di via Giulia. Un sistema che non si è mai mosso contro il Pd, come dimostrano le migliaia di Sos setacciate per colpire il governo e gli esponenti del centrodestra. Eppure, nonostante gli approfondimenti in corso, qualcosa continua ancora a muoversi. Quasi come se il cerchio, stretto attorno agli indagati, non sia bastato.

 

 

E non è un caso che il procuratore Cantone abbia chiesto l’arresto del finanziere Pasquale Striano e dell’ex pm Antonio Laudati, accusati di accesso abusivo alle banche dati e rivelazione del segreto in concorso con i tre giornalisti del quotidiano Domani, Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Per la Procura, che attende la decisione del Riesame dopo che il gip ha negato gli arresti pur confermando l’impianto accusatorio, i presunti spioni si sarebbero messi in moto per inquinare le prove. Non solo, c’è pure il pericolo di reiterazione del reato, visto che dall’inizio dell’inchiesta le intrusioni illecite al sistema analisti non si sarebbero fermate. Così come la narrazione mediatica, che su oltre 3mila pagine di atti in grado di delineare la gravità del presunto dossieraggio impiantato all’Antimafia, usa un paio di paginette del verbale di Crosetto per mistificare la collaborazione del ministro nella ricerca di eventuali mele marce vicine ad ambienti dell’intelligence e rappresentare falsamente una frattura tra le Istituzioni chiave del Paese.
Quelle ombre su Palazzo Chigi, alla stregua delle Sos riconducibili alla chiave d’accesso di Striano, potrebbero avere la medesima origine. E il Copasir, che già da marzo scorso ha avviato audizioni sugli spioni del gruppo Sos, ora si occuperà anche delle interferenze e dei misteri che si nascondono dietro il caso Crosetto-Aise.

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