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Pd, dai “fascisti” all'abbraccio con Renzi: Schlein non sfonda e perde consensi

Mira Brunello
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Dell’estate militante non se ne è saputo molto. Ad un certo punto Elly Schlein è partita per le vacanze e non ha lasciato tracce (ne sa qualcosa Orlando abbandonato per un mese sotto il solleone ligure). Matteo Renzi per un’intera stagione è stato l’unico federatore del campo largo, o almeno il solo raggiungibile da un microfono. Poi c’è l’annosa questione delle Feste dell’Unità, l’unica piazza in cui emerge il Pd, magari serve a rafforzare la convinzione dei militanti, più difficile prendere altri voti. Alla fine però il tema più sensibile è quello dell’alleanza progressista che non riesce a trasformarsi in una vera coalizione, troppo macroscopiche le differenze, troppo sviluppati gli ego. Ed ancora improponibile il confronto con Giorgia Meloni, Matteo Salvini ed Antonio Tajani, nonostante le liti, gli italiani li percepiscono come una compagine. Analisi e riflessioni che si fanno in transatlantico nei capannelli dem, commentando la perdita secca (-1%), registrata dal Pd nei sondaggi settimanali. Si dirà che è un dato insignificante, che diventa più significativo però se avviene proprio nella settimana delle scorribande dell’influencer di Pompei, della travagliata vicenda sentimentale dell’ex ministro della Cultura, dell’enfasi sulle firme raccolte per il referendum contro l’autonomia differenziata. Eppure il Pd non solo non cresce, ma persino arretra. Che poi è il limite riconosciuto (dalle minoranze) della segreteria di Schlein.

 

 

Con un Nazareno impegnato sul fronte dello «zoccolo duro», la cui punta massima è la percentuale raccolta alle elezioni europee. Difficile superare quel 24%, impegnandosi in una campagna distruttiva contro i «fascisti», e non invece competitiva con la leader di Fratelli d’Italia. A seguire c’è il dramma dell’estate: Matteo Renzi, che in fondo ad agosto è andato a coprire un vuoto lasciato dalla segretaria dem. La sollevazione contro di lui nasconde un antico vizio della sinistra: la tendenza a rinchiudersi tra pochi eletti in recinti identitari. In ogni caso la soluzione scelta in Liguria per Italia Viva è la peggiore in assoluto. Si accoglie l’ingombrante alleato e si nasconde in una lista no logo. Come se l’ex sindaco di Firenze fosse una sorta di parente «stravagante» da tenere lontano durante i pranzi familiari. Il risultato è che chi lo odia avrà un buon motivo per non votare il campo largo, chi lo segue sentirà l’umiliazione per una storia tenuta «imbavagliata».

 

 

Elly Schlein dovrà arrivare a capire che non si può risolvere tutto con la formula «no veti», prima o poi l’elettorato vorrà sapere come si muove sull’Ucraina, sul Medio Oriente, sulla legge di bilancio (non presentando contro manovre da libro dei sogni), sulla sicurezza. Il vero rischio che corre infatti è quello delineato dal sindaco di Genova Marco Bucci: il campo largo è il luogo di ritrovo dei signori del No. Certo più facile dire di no, sai che stress chiudersi in una stanza con Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Carlo Calenda e Nicola Fratoianni, per trovare un minimo comune denominatore, che nella realtà non esiste. E magari anche di adottare un linguaggio chiaro a tutti. Sono passati diversi mesi, la segretaria ha dimostrato di non essere di primo pelo, resta però il solito tratto distintivo. Quello che portò persino Lilli Gruber a dirle: «Ma chi la capisce se parla così?». D’altra parte Elly farà anche il pieno alle Feste dell’Unità, ma alle recenti elezioni europee non che abbia brillato per consensi personali. Segno che la segretaria, appassionata di videogame, è ancora alla fase «infantile» della leadership. Ora dai sondaggi, si passa ai voti veri in tre regioni. Esclusa l’Emilia Romagna dove sulla carta il Pd non corre rischi, nelle altre due, e soprattutto in Liguria, l’inquilina del Nazareno dovrà tornare a metterci la faccia. E a non far ricordare una battuta fulminante di Ennio Flaiano: «coraggio, il meglio è passato».

 

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