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Roma e i lunghi coltElly: assalto del Pd a Gualtieri

Susanna Novelli - Martina Zanchi
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L’assalto alla fortezza è cominciato. Del resto, l’ascesa di Elly Schlein alla guida del Nazareno ha scosso un Pd imploso su se stesso che ora può, e deve, ripartire proprio da Roma Capitale. Qui dove si attende l’Anno Santo non per la grazia urbi et orbi ma per arrivare a quella resa dei conti che si attende dal 2015, da quando cioè i democratici defenestrarono l’allora sindaco Ignazio Marino per consegnare le chiavi della città ai grillini di Virginia Raggi e quelle del partito a Nicola Zingaretti. «Traslocato» quest’ultimo a Strasburgo, si punta dritto sul colle capitolino. Roberto Gualtieri, e soprattutto il «sindaco ombra», Claudio Mancini sono finiti nel mirino dei piani alti del partito con l’obiettivo di creare un nuovo equilibrio in vista delle prossime elezioni comunali. Lo squillo di tromba che ha dato il via alla guerra dei coltelli tra parenti serpenti lo ha dato proprio la Schlein una settimana fa quando, alla Festa dell’Unità di Genzano, ha promesso un incontro per aprire un tavolo con i comitati del "no" al termovalorizzatore. Non è stata una semplice «distrazione» se proprio nelle stesse ore, in una riunione dei consiglieri dem in Campidoglio, i cinque eletti vicini al segretario del partito hanno di fatto rivendicato la guida del gruppo in Aula Giulio Cesare, chiedendo di fissare un incontro volto a ridiscutere gli equilibri. Un doppio attacco insomma, sferrato sulla fiche più importante messa sul tavolo dal sindaco Gualtieri, quella appunto del termovalorizzatore.

 

 

Giubileo da una parte e la soluzione definitiva all’emergenza rifiuti, secondo i calcoli del primo cittadino, dovrebbero garantirgli il bis a Palazzo Senatorio. Il clima, tuttavia, non aiuta la certezza. Troppo il potere lasciato in mano a Claudio Mancini, che parla e lavora dietro le quinte per conto e nome di Gualtieri. L’ultima operazione l’ha portata a casa ieri, quando in Aula Giulio Cesare ha assistito sorridente all’elezione di Gualtieri - per acclamazione - a presidente dell’associazione Autonomie Locali Italiane (Ali) al posto dell’uscente Matteo Ricci. L’ex sindaco di Pesaro è stato la pedina su cui Mancini ha puntato tutto alle scorse elezioni europee, un modo per pesarsi nella Capitale e un tentativo di mostrare i muscoli alle altre correnti (zingarettiani e Area dem in primis) che peraltro non ha dato i risultati auspicati. Ricci però a Bruxelles ci è arrivato e ieri, secondo alcuni, al congresso di Ali in Campidoglio ha passato il testimone a Gualtieri, abbracciandolo stretto, per ringraziare in realtà Mancini del sostegno elettorale ricevuto. Ricci a Bruxelles e Ali ai romani. Lo dimostra pure il fatto che nel nuovo Consiglio nazionale dell’associazione siedono tre consigliere capitoline che aderiscono proprio alla nutrita truppa «manciniana» e che ricoprono, guarda caso, ruoli locali di primo piano. Valeria Baglio, la capogruppo dem in Assemblea, Giulia Tempesta, presidente del partito romano, e Svetlana Celli, che presiede l’Aula Giulio Cesare. Ma a ben guardare il controllo dell’associazione, che stando al sito conta «circa 2.500 enti tra comuni, province, regioni e comunità montane», per Mancini potrebbe rappresentare un promettente piano B qualora la situazione, alle prossime comunali di Roma, non dovesse mettersi come auspicato.

 

 

La trama è ampia e guarda oltre il Raccordo anulare, per non restare intrappolati nella Capitale che in un attimo rischia di trasformarsi in un pantano. Ricci comunque, prima di congedarsi da Ali, ha lanciato un messaggio chiaro per le orecchie di chi sa intendere. «Questa - ha detto l’ormai ex presidente - è una comunità di persone che non mettono gli interessi di parte sopra a quelli del Comune». Un piano B insomma, un paracadute per atterrare in lidi diversi qualora il vento, oggi in poppa, dovesse girare. E portare magari a segno il colpo del Nazareno che vorrebbe Paolo Gentiloni al posto di Gualtieri... e compagnia.

 

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