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Dossieraggio, quelle strane mail inviate da Laudati per cercare aiuto

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Rita Cavallaro
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Quella mail di Antonio Laudati inviata ai potenti in pieno scandalo dossieraggio. È rimasta lettera morta la nota con la quale il sostituto procuratore, indagato con Pasquale Striano per i presunti dossier forniti ai giornalisti, ha cercato di difendersi dal ritratto dello spione delineato dagli atti della Procura di Perugia. Che ora, proprio a causa di quella frenetica attività tesa a trovare la sponda tra politici, magistrati e alti funzionari, ha ravvisato nei confronti di Laudati il pericolo di inquinamento delle prove, in quanto l’indagato «comincia a difendersi "sotto traccia", mandando la sua versione difensiva ai vari colleghi e a soggetti che rivestono ruoli istituzionali all’interno del governo, ministri ed altri», scrive il procuratore Raffaele Cantone nella richiesta di custodia cautelare.

 

 

 

«E lo fa inviando un dettagliato appunto difensivo, intitolato "Laudati" S Versione in cui riporta un dato assolutamente falso, ovvero la circostanza che "la vicenda processuale ha avuto inizio con una relazione dello scrivente redatta in data 22.11.2022"». Quella relazione, in realtà, altro non è che la risposta alla Procura di Roma che, in quel momento, indagava sul finanziere Pasquale Striano, individuato quale l’esecutore delle intrusioni illecite nelle banche dati sul nome del ministro Guido Crosetto, il quale aveva presentato un esposto a seguito dell’articolo di Domani in cui erano stati rivelati con precisione i compensi ottenuti da Leonardo prima di diventare titolare della Difesa. Non solo per gli inquirenti quella nota è «fuorviante rispetto ai compiti di Striano che, diversamente da quanto indicato, lavorava in via esclusiva, come Laudati ben sa, per il Gruppo Sos», si legge. Ma quello che, oltre al contenuto della nota, è apparso «assai più grave, da un punto di vista quantitativo e qualitativo, in ragione dei ruoli ricoperti», è l’elenco delle persone a cui Laudati aveva inviato la lettera il 18 marzo scorso.

 

 

Inaspettatamente, quel giorno, le mail erano arrivate ad Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, al capo dei servizi all'Aisi Mario Parente, al numero uno della Polizia Vittorio Pisani, all’ex direttore dell’Aise Luciano Carta. E ancora, a una serie di giudici e magistrati, tra cui il primo presidente della Suprema Corte di Cassazione, Margherita Cassano, ad Alberto Cisterna, presidente della XIII sezione del Tribunale civile di Roma, al sostituto procuratore generale delle Cassazione Fulvio Baldi, al procuratore capo dell’Aquila Michele Renzo e a un nutrito numero di altri colleghi e dirigenti della polizia. Persone che «si sono viste le note difensive senza alcun preavviso e sono rimaste "mute" rispetto a tale invio per l'evidente imbarazzo di aver ricevuto un documento di parte relativo a una vicenda assai delicata, un'iniziativa a dir poco inopportuna», scrive Cantone che, di fronte alle nuove risultanze investigative, non esclude di poter sentire i destinatari, anche per poter accertare un eventuale disegno dietro l’invio di Laudati, rimasto senza risposta.

 

 

Nessuna dietrologia in quel comportamento del magistrato, secondo la difesa, ma il semplice atto di un uomo saldo nel comunicare la propria innocenza a coloro che reputerebbe degli amici. «Il consigliere Antonio Laudati ha inviato a una cerchia di persone ristrette una nota difensiva, come da suo diritto di difesa e così come d’altronde ha del resto egualmente ricostruito la vicenda rivolgendosi alla stampa attraverso un comunicato a firma del suo difensore, in cui lui spiegava le cose come erano andate», sottolinea il professore Andrea Castaldo, legale dell’indagato. «Da una parte c’è la versione dell’accusa e dall’altra la versione della difesa, poi ci sarà un giudice che deciderà quale sarà la versione reale. Non si può pensare», precisa il difensore, «che sia oro colato tutto quello che dice una sola parte. Quella nota è la ricostruzione fatta da una persona che si trova in un polverone mediatico, e quindi scrive a una ristretta cerchia di amici, che svolgevano anche ruoli istituzionali, per rappresentare la sua ricostruzione dei fatti».

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