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Dossieraggio, i magistrati rossi e la guerra a Cantone per fermare lo scandalo

Rita Cavallaro
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Le toghe rosse contro il procuratore Raffaele Cantone. Sembra un fuoco incrociato, in un sistema di mandanti, coperture e insabbiamenti, quello che emerge dagli atti dell’inchiesta dossieraggio, l’indagine sul verminaio dell’Antimafia, trasformata in una sorta di centrale delle Sos inviate dal finanziere Pasquale Striano, in concorso con il pm Antonio Laudati, al team di giornalisti di Domani, che poi pubblicavano le informazioni riservate sul quotidiano per colpire il governo e i nemici politici. Un’indagine complicata, sulla quale il procuratore di Perugia ha lavorato nel massimo riserbo e non senza difficoltà, attirandosi fin da subito le ire dei suoi stessi colleghi. La circostanza emerge da un'intercettazione del 16 marzo scorso tra Striano e il giornalista del Fatto Quotidiano Antonio Massari. I due, in una serie di messaggi vocali su whatsapp, commentavano il polverone che si era scatenato a seguito della lunga intervista rilasciata da Striano a La Verità, uscita quella mattina.

 

 

«Un casino è successo, un casino, ma poi un casino che non è solamente fuori ma è anche all’interno della mia vita, perché giustamente mia moglie, i miei figli, l'avvocato, dice oh, diamoci una calmata, in questo momento è meglio non parlare... Antò, cercate di capirmi però», dice il finanziere, «devo fare ancora più attenzione a non dire neanche una parola. Mi fu detto qualche giorno fa: "Guarda Pasquale, c’è Magistratura Democratica contro Cantone"». Qualcuno, insomma, avrebbe avvisato Striano di stare calmo, perché tanto contro l’inchiesta del procuratore di Perugia, in quel momento, avrebbero alzato le barricate le toghe rosse. Tanto che aggiunge Striano: «Io ne prendo atto, per carità, io non faccio la guerra a Cantone anche se sinceramente i suoi metodi non sono stati, diciamo, dei più belli, ma comunque se emergerà qualcosa lo faremo emergere più avanti. Magistratura Democratica corrente di Cantone gli è andata contro, eccetera, eccetera, mi viene detto questo». Il motivo del perché i magistrati di sinistra avrebbero messo i bastoni tra le ruote all’inchiesta sul più grande scandalo della Terza Repubblica, che coinvolge servitori dello Stato intenti a lavorare contro lo Stato e che hanno spiato politici del centrodestra ma mai il Pd, al momento non è dato sapere. Però, già dalle prime fasi dell’indagine, sono palpabili i tentativi portati avanti dagli indagati di minimizzare i gravi reati, mistificando i fatti. Tanto che proprio il rischio di reiterazione dei reati e di inquinamento delle prove sono alla base, tra l’altro, della richiesta di arresto avanzata a luglio scorso da Cantone per Striano e Laudati.

 

 

Seppure il gip Elisabetta Massini non abbia convalidato le misure, che saranno oggetto di appello al Riesame il prossimo 24 settembre, l’impianto accusatorio messo in piedi da Cantone è stato sposato in toto dal giudice, il quale ha ravvisato la sussistenza di «plurimi, gravi e precisi indizi in ordine a tutte le fattispecie cautelari» contro il finanziere, il pm e i giornalisti. Insomma, il verminaio che Cantone avrebbe ipotizzato fin dalle prime fasi dell’inchiesta, quando si era trovato davanti ai numeri mostruosi delle intrusioni illecite su politici, vip e imprenditori, è messo nero su bianco nelle oltre 10mila pagine di atti finora a sostegno delle contestazioni dell'inchiesta. Che adesso punta a trovare la regia, quei mandanti che potrebbero aver commissionato a Striano & Co i dossier diventati inchieste contro il governo con il concorso dei giornalisti di Domani Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine. Per gli inquirenti, Striano non avrebbe messo a segno le migliaia di intrusioni illecite nelle banche dati al solo scopo di accontentare i cronisti amici, ma sarebbe parte di un sistema, vista «la consapevolezza, da parte di Laudati, del modo di operare fuori dalle regole, di Striano», si legge nell’ordinanza con la richiesta d’arresto nei confronti del finanziere e del magistrato.

 

 

Sistema nel quale i giornalisti indagati avrebbero un ruolo chiave, come richiedenti gli accessi illegali alle Sos e destinatari poi dei documenti riservati grazie ai quali avrebbero pubblicato decine di articoli. «Ciò che balza agli occhi è il rapporto di confidenza che Striano intrattiene con i giornalisti», si legge, «i quali senza pudore gli chiedono informazioni ed ai quali lo stesso risponde inviando atti e documenti estratti dalle banche dati». Un rapporto privilegiato con Tizian, ma le richieste alla fonte sarebbero arrivate anche da Trocchia e Vergine. Scrive Cantone: «Striano effettua ricerche ed invia dati non già al solo Tizian ma anche ad altri giornalisti per i quali costituisce un vero e proprio punto di riferimento interno alla Pnaa, tanto da potersi ipotizzare che egli operasse in realtà non a titolo di mero favore ed amicizia con Tizian (e altri giornalisti), ma dietro altri e non ancora individuati terzi, anche ipoteticamente, all'esito di accordi corruttivi per l'esercizio della funzione, ancora, allo stato, non individuati». Insomma, si cercano i mandanti e ulteriori complici, visto che nonostante il trasferimento di Striano gli accessi abusivi non si sono mai fermati.

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