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Renzi evoca Blair: “Il centrosinistra senza noi riformisti non vince”

Edoardo Romagnoli
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«Noi siamo l’ala riformista, l’ala Blair. Senza l’ala Blair il centrosinistra non vince». Questo in sintesi il messaggio che Matteo Renzi lancia nell’intervista, al Tempio di Adriano di Roma, con il direttore del Foglio Claudio Cerasa. Ci tiene però a spiegare che non è stato lui a proporsi al Pd ma è stata Elly che gli ha rivolto un invito. «Una settimana prima della partita del cuore Schlein rilasciò un’intervista in cui annunciava che il tempo dei veti era finito» ricorda il leader Iv. E sul Jobs Act? «Schlein è l’unica coerente visto che uscì dal partito proprio perché contraria al decreto» spiega e aggiunge «chi non è coerente sono quei deputati e quei ministri dem che, ai tempi, votarono a favore e adesso si dicono contrari». Poi ribadisce che Italia viva sul Jobs Act organizzerà i comitati «per evitare l’abolizione».

 

 

Per Renzi il passato non conta, e comunque non rinnega niente, ciò che conta è «confrontarsi sui contenuti: stipendi, intelligenza artificiale, energia, innovazione, cultura». Chiamatelo come volete, campo largo, centrosinistra, l’importante è che non sia «lo zoo di Pistoia della celebre canzone di Jannacci. Vengo anche io, no tu no». A mettere i veti, oltre a una parte del Pd, è il Movimento 5 Stelle di Giuseppe Conte. «Quando alle regionali hanno messo un veto su di noi, andando di là abbiamo fatto vincere il centrodestra e ora dicono non dovete stare con il centrodestra. Delle due l’una, se non vuoi che sto con il centrodestra tu non mettere veti» replica il senatore fiorentino. E ancora rivolgendosi a Conte: «Se vuoi stare nel centrosinistra magari devi decidere fra Kamala Harris e Donald Trump» e ricorda che il leader del Movimento 5 Stelle è quello «che ha firmato i decreti Salvini che cancellavano i fondi per insegnare l’italiano agli stranieri. E come fai a fare integrazione se non sanno l’italiano? Con il codice morse?». Non manca una frecciatina anche a Di Maio, uno dei suoi più ferventi oppositori quando era al governo del Paese e segretario del Pd, «quando dovevamo votare per le unioni civili un cardinale chiamò Di Maio per chiedergli di non votare quella legge. E così noi mettemmo la fiducia».

 

 

Per la riuscita del gemellaggio l’ex premier punta tutto sulla segretaria dem: «Se la guida dell’accordo è Schlein ci stiamo». A chi lo accusa di aver cambiato campo per opportunismo lui risponde: «Io non cambio idea sui contenuti, cambia il contesto. Il riformismo è cambiare le cose non restare da soli, autoincensandosi, senza contare nulla». Inevitabile il capitolo Sangiuliano. E qui Renzi dà obiettivamente il meglio di sé. «Quella al Tg1 è stata un’indecorosa pagliacciata, mi dispiace per lui ma mi dispiace soprattutto per le istituzioni, a questo punto dico, un direttore del Tg diamo direttamente a Maria de Filippi». Anche qui ci infila un distinguo con Conte: «Ha detto che non ci sono avvisi di garanzia. Ma le dimissioni non si chiedono per gli avvisi di garanzia, noi le chiediamo per perché non e assolutamente in grado di ricoprire il ruolo di ministro». E fa l’esempio della nomina di Fabio Tagliaferri all’Ales la società in house del Ministero della Cultura, fatta il 1° febbraio. «È imbarazzante che mettano lì un consigliere comunale di Frosinone che con la cultura non ha niente a che fare ma è nella cerchia magica della Meloni. E dicono che non è il governo dell’amichettismo, pensa se lo fosse».

 

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