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Liguria, Calenda detta le condizioni al campo largo per farsi dire di no e non perdere i “big”

Mira Brunello
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È la tattica usata da chi vuole farsi dire no. In un campo da calcio si usa il termine mandare la palla in tribuna. In politica invece si "spara" alto. Quello che sta facendo Carlo Calenda in Liguria. Ovvero dettare le condizioni (tre) al campo largo, sapendo che la "compagnia" di Andrea Orlando ha intenzioni completamente diverse e che quindi non lo prenderà in considerazione. Il leader di Azione ha riepilogato la sua posizione, parlando con il Secolo XIX, «Prima: le opere infrastrutturali che servono alla Liguria si devono fare. Seconda: niente campagna elettorale basata sul giustizialismo forcaiolo. Terza: avere una leale collaborazione istituzionale con il sindaco Bucci». Un libro dei sogni per un’alleanza che si è cementata sull’onda dell’inchiesta che ha travolto l’ex governatore Giovanni Toti, e che in 4 anni di opposizione a Genova ha sempre contrastato le grandi opere, a cominciare dalla Gronda.

 

 

La linea scelta dal partito centrista cerca di salvare "capra e cavoli": spiegare il "non possumus" ai dirigenti regionali che vorrebbero un accordo con Elly Schlein, accontentare di fatto la fronda romana (in modo particolare Maria Stella Gelmini ed Enrico Costa) che ha minacciato di abbandonare Azione, nel caso di una risposta positiva ad Andrea Orlando. In pratica l’incudine ed il martello: la posizione (scomoda) in cui il leader si trova da settimane. Un contesto molto evidente anche nella riunione del direttivo di martedì scorso, con la componente che non vuole andare a sinistra, molto agguerrita. «Noi - precisa Calenda nell’intervista con il quotidiano genovese - non siamo nel campo largo. Siamo al centro. Se ci sarà, sarà una coalizione tra centro e campo largo. Di Italia Viva si occuperà il Pd o altri, non compete a noi. Del resto Iv, che fino a ieri via Paita, descriveva il campo largo nazionale e ligure come un gruppo di bolscevichi, spiegherà ai suoi elettori questa ennesima giravolta».

 

 

Così proprio la situazione ingarbugliata dei due partiti centristi, Azione ed Italia Viva, ha rallentato ulteriormente il via libera definitivo alla candidatura dell’ex ministro Pd e soprattutto la definizione del perimetro della alleanza. A Roma era stato preparato, su indicazione del Nazareno, un listone indifferenziato dove candidare esponenti dell’area politica moderata: renziani, calendiani, boniniani, e chi più ne ha più ne metta. Rigorosamente senza simboli, così si nascondono meglio. In una collocazione naturalmente subalterna al vero asse del campo largo che è formato da Pd, M5S ed Alleanza Verdi e Sinistra. Per dire che Carlo Calenda non riuscirà a farsi prendere sul serio con le sue tre condizioni. Acque agitate anche dentro il M5S, in vista della Costituente, tra il fondatore Beppe Grillo ed il leader Giuseppe Conte. La situazione la spiega l’ex ministro Danilo Toninelli (che parteggia per il comico): «Noi oggi abbiamo un partito della democrazia diretta e un partito del posizionamento, quello che entra in Liguria ad appoggiare Orlando e poi si accorge, senza fare un contratto di governo, che Calenda vuole la Gronda». Insomma per lo spezzino è un vero rompicapo: se tira l’alleanza da una parte, l’altra resta del tutto scoperta.

 

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