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Scandalo dossier, nuove rivelazioni di Cantone: "Ulteriori accessi abusivi alle banche dati"

Rita Cavallaro
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Non hanno mai smesso di spiare il governo e per questo devono essere arrestati, mentre gli inquirenti danno la caccia ai complici e ai mandanti. È la linea della Procura di Perugia, che indaga sul presunto dossieraggio all’Antimafia, l’inchiesta in cui sono coinvolti il finanziere Pasquale Striano, l’ex pm Antonio Laudati e i giornalisti di Domani Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine, accusati in concorso di accesso abusivo alle banche dati e rivelazione del segreto.
Gli inquirenti contestano loro di aver spiato, dal 2018 al 2022, oltre 300 persone, la quasi totalità politici di centrodestra ma anche vip e imprenditori, le cui informazioni riservate venivano poi trasmesse ai cronisti, diventando scoop sul quotidiano per colpire l’avversario e influire sulla vita democratica del Paese. Con la deflagrazione dello scandalo nel marzo scorso, quando il procuratore di Perugia Raffaele Cantone ha emesso gli avvisi di garanzia nei confronti degli spioni e portato alla luce quello che lui stesso ha definito un vero e proprio verminaio, le indagini sono andate avanti nel massimo riserbo e l’autore del numero mostruoso di intrusioni illecite nel sistema analisti è stato spostato dal gruppo Sos in un piccolo ufficio dell’Aquila, per evitare che potesse reiterare il reato cercando altri nominativi su impulso dei giornalisti. E invece, si scopre ora, non solo quelle intrusioni per spiare il governo non si sarebbero fermate, tanto che l’inchiesta è tutt’altro che vicina alla conclusione, ma sarebbero stati messi in atto anche tentativi di inquinamento delle prove. Circostanze che hanno spinto il procuratore a chiedere l'arresto di Striano e Laudati, non convalidato dal gip ma oggetto di un'udienza al Riesame, il prossimo 24 settembre. A delineare i nuovi aspetti investigativi e la gravità delle condotte che sarebbero state operate dagli indagati è stato proprio Cantone, il quale ha garantito che le indagini continuano alla ricerca di complici e mandanti e «non è prevedibile la loro conclusione in tempi brevi», in quanto dagli accertamenti «sono emersi ulteriori episodi di possibili accessi abusivi» al sistema delle Sos. In questo periodo, spiega in una nota, «si è ulteriormente intensificato il rapporto di collaborazione con la Direzione nazionale antimafia che, oltre a svolgere doverose funzioni di coordinamento, ha effettuato approfonditi ulteriori accertamenti sulla propria Banca dati, fornendo importanti riscontri alle indagini in corso». Il procuratore conferma che «nello scorso mese di maggio l’ufficio ha avanzato richiesta di misura cautelare personale degli arresti domiciliari nei confronti dell’ufficiale della Guardia di finanza e dell’ex sostituto procuratore della Dna, già sottoposti alle indagini e destinatari nei mesi scorsi di invito a comparire».

Nella richiesta cautelare «di 200 pagine» sono stati portati all’attenzione del gip «tutti gli elementi raccolti che dimostravano la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, episodio per episodio, ed evidenziate specifiche circostanze, ascrivibili a entrambi gli indagati», precisa Cantone, che sono state ritenute «integrare gravi fatti di inquinamento probatorio in grado di danneggiare la genuinità del cospicuo compendio probatorio già acquisito». Il procuratore sottolinea che per Striano è stato prospettato «seppure in vis subordinata, il pericolo di reiterazione dei reati», visto che l’indagato presta servizio in un reparto non operativo e senza la possibilità di accedere alle banche dati. Seppure il gip di Perugia abbia rigettato la richiesta, ha comunque ritenuto «indiscutibile la sussistenza di plurimi, gravi e precisi indizi in ordine a tutte le fattispecie cautelari», fa sapere Cantone citando l’ordinanza, avverso la quale la Procura ha fatto appello al Riesame. Insomma per il giudice, l’impianto accusatorio non solo regge, ma delinea in modo documentale quello che è considerato il più grande scandalo politico-giudiziario della Terza Repubblica, ordito in quel tempio sacro dell’Antimafia dove servitori dello Stato lavoravano contro lo Stato.

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