diritti e politica

Il Pride modello Zan-Schlein non piace ai sindaci di sinistra

Tommaso Manni

Quando il Pride diventa la Festa dell’Unità 2.0. È quanto è accaduto a Lignano, in Friuli Venezia Giulia, dove si è cercato di far passare l’evento clou per i diritti in una manifestazione, che poco aveva a che vedere con le solite battaglie contro ogni forma di discriminazione. È più lungo l’elenco degli sgraditi che di coloro potessero esternare il proprio essere. Nella lista nera, anzi rossa, ci sono innanzitutto gli ebrei, che stavolta hanno dovuto addirittura nascondere le bandiere con la Stella di David. «Noi siamo per la Palestina – ha gridato qualche attivista -. Non abbiamo nulla a che vedere con questi assassini». Peccato, però, che a essere etichettati in quel modo pure coloro che hanno sacrificato la propria esistenza affinché, in determinati contesti, come il Medio Oriente, tutti potessero manifestare, in modo libero e incondizionato, il proprio amore. Poco importa agli organizzatori dell’edizione 2024 del Pride del Nord Est, secondo cui si può utilizzare una sola parola «Gaza», anche se serve per giustificare l’azione di qualche terrorista. Il 7 ottobre, a quelle latitudini, è un lontano ricordo.

 

  

 

Nel corteo colorato, invece, abbondano le bandiere di Sinistra Italiana e del Partito Democratico. Non ci sono i big, ma tanti dirigenti locali, che sfruttano l’occasione per ritagliarsi uno spazio di visibilità, che diversamente non avrebbero. Con la scusa di allargare la manifestazione alle associazioni, ci sono i gazebo dei Verdi, i banchetti del Movimento 5 Stelle, quelli democratici e soprattutto i tavolini per raccogliere le firme sull’Autonomia. «L’obiettivo – riferisce un membro dell’organizzazione – è raccogliere almeno mille di sottoscrizioni. Se non sfruttiamo queste occasioni, come possiamo raggiungere l’obiettivo». Al Nord, la battaglia anti legge-Calderoli non fa presa. Occorre, dunque, sfruttare ogni iniziativa, che porta in strada le persone, per convincere qualche scettico. L’effetto, però, non è quello auspicato.

 

 

Diverse le persone che hanno protestato e si sono dichiarate «indignate» rispetto a un party che non dovrebbe etichettare o dividere. Tra i partecipanti, infatti, diversi i gay di destra, che in modo silenzioso, hanno preferito ballare e fare finta che null’altro accadesse. «Ci veniamo – riferisce un gruppo di ragazze – per ballare, non perché condividiamo battaglie, che nulla hanno a che vedere con emancipazione, lotta alle discriminazione e quant’altro». A parte le hit e gli artisti che si sono esibiti, stavolta a Lignano, sembra esserci stato non certamente un passo in avanti in materia di diritti. Le diverse migliaia di ragazzi, arrivate al parco, allestito per l’occasione, non sono sufficienti, secondo i più, a giustificare chi ha invitato solo chi gli era più simpatico e avrebbe escluso, come riferisce qualche dirigente dell’Arcigay, invece, quei riferimenti scomodi che si sono battuti per una manifestazione aperta senza preclusioni. Insomma, a parte la solita abbondanza di colori, che rende questo momento unico, più di qualche malumore per chi, a parte la ballata, vorrebbe che il movimento rappresenti tutta la comunità Lgbt e non soltanto una parte marginale.