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Cuperlo vs Renzi, scatta la fronda nel Pd. Ma è anche l'ora dei nostalgici

Mira Brunello
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Troppo colto, con quella erre dolcemente arrotata che accompagna i suoi pensieri lunghi, (a volte anche eccessivamente) per poter sopportare uno sbrigativo e «sboccato» (d’altra parte si sa i toscani), come Matteo Renzi. Un’antipatia politica che nasce dagli albori: Gianni Cuperlo ha fatto di tutto per frenargli la corsa, candidandosi anche contro di lui (e perdendo) nelle primarie del 2013, quelle che aprirono le porte del Nazareno al fiorentino. Poi una lunghissima scia di scontri, a volte anche plateali, anche se il triestino accolse la prima presidenza dell’assemblea nazionale dem dell’era Renzi. Da cui si dimise (subentrò Matteo Orfini) pochi mesi dopo con una lettera che spiega molto bene la natura dei rapporti tra i due: «Mi dimetto perché sono colpito e allarmato da una concezione del partito e del confronto al suo interno che non può piegare verso l’omologazione, di linguaggio e pensiero». Una «coerenza» che il deputato Pd ha rispolverato proprio il giorno dopo del ritorno nei pressi di casa del figliol prodigo: «Matteo Renzi è andato alla festa del Pd di Pesaro dove ha detto: "Non fate a Elly quello che avete fatto a me". Per parte mia ho una sola certezza ed è che Elly non farà mai quello che lui ha fatto a noi».

 

 

D’altra parte, l’ultimo segretario della Fgci ed il primo della Sinistra Giovanile è uno dei principali capofila dello schieramento anti «partita del cuore». Un raggruppamento che vede la nutrita partecipazione della «ditta» di Pierluigi Bersani (che abbandonò il partito, fondando Art.1, in dissenso con l’allora segretario), e nel silenzio, una bella fetta di esponenti della maggioranza, legati proprio ad Elly Schlein, ai quali piacerebbe tanto conservare qualche veto. La contesa sui nuovi «amori» del fiorentino rischia di riaprire vecchie ferite e nuove guerriglie nel Pd. D’altra parte troppo veloce l’inversione a U del senatore per non lasciare tracce. E troppo radicato l’astio, per essere dimenticato in un mese. Basta leggere il post della storica portavoce di Bersani, Chiara Geloni, per rendersene conto: «Renzi non ha più alcuna strategia politica. Renzi non ha alcun valore aggiunto e alcuna utilità marginale. Non può andare da nessuna parte e non può fare niente, solo elemosinare qualche posto nella coalizione di Pd, 5 stelle e Avs», una stroncatura senza mezzi termini. C’è chi lo avversa, con il sostegno di Giuseppe Conte, e chi lo aspetta, con trepidazione, per uscire dal cono d’ombra.

 

 

Un ritorno al passato recente quindi, anti renziani contro renziani, un match classico, come Inter-Juventus, che ha caratterizzato gli ultimi 15 anni del centrosinistra, una pellicola all’insegna di «lacrime e sangue». Dei secondi fanno parte sicuramente tutti i più illustri parlamentari della minoranza: Lorenzo Guerini, Alessandro Alfieri, Francesco Verducci, Simona Malpezzi, Filippo Sensi, Simona Bonafè, Valeria Valente, Matteo Orfini. E in Europa Giorgio Gori, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini, Alessandra Moretti, Matteo Ricci. Con due prime punte in attacco che in queste settimane hanno aiutato la segretaria nell’ombra ad aprire al carissimo «nemico»: Stefano Bonaccini e Goffredo Bettini (il teorico del recinto senza nome da riservare ai centristi). La minoranza, con il supporto esterno del leader di Italia Viva, spera di uscire dall’angolo, e di rompere quella che un vecchio dirigente di rito dem definisce «l’insopportabile cappa dei ragazzi di Elly». I più ottimisti sperano in un ritorno nel Pd: «Con lui i numeri cambierebbero, tutti conosciamo l’abilità di Matteo come seduttore». Comunque vada, non sarà una riedizione di «volemose bene».

 

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