dopo le indagini

Liguria, tutti pazzi per Toti: centrodestra avanti dopo le indagini. La sinistra trema

Mira Brunello

Dal tragicomico al drammatico, è la scoppiettante commedia degli equivoci in scena in Liguria. C’è un protagonista, un nome di primo livello della gerarchia dem, abbandonato in un angolo a pazientare. Senza neanche un telefono amico, con cui scaricarsi. In pratica la sorte di Andrea Orlando, l’ex ministro del Pd che da ben due mesi si è presentato in tutte le feste dell’Unità, come il quasi candidato alla successione di Giovanni Toti. Quello che sembrava un dettaglio, «decideranno a breve», «non ho altri concorrenti», «Elly mi ha rassicurato», con il tempo si è trasformato in un problema sempre più grande. Anche perché la segretaria dem ad un certo punto è partita per le vacanze e non ha lasciato detto nulla, a differenza di quanto ha fatto (a ferragosto) con Michele De Pascale in Emilia Romagna e Stefania Proietti in Umbria. Da qui lo stato «ibrido» (e l’arrabbiatura) del big dem, raggiunto sul podio dall’uomo di Giuseppe Conte, Luca Pirondini, il senatore della «rivalsa» del M5S.

 

  

 

 

Andrea Orlando ora guarda l’orologio, conta i giorni che mancano al suo ultimatum: se entro domenica, non arriverà l’imprimatur da Roma, lui sgombrerà il campo e si dovrà cercare un altro candidato. La questione è affidata ad un incontro a quattrocchi tra Elly Schlein e Giuseppe Conte, che però slitta di ora in ora: chi dovrà fare il passo indietro? Da Campo Marzio è la solita «solfa»: «Il Pd ha già i suoi frontman in Emilia Romagna ed Umbria». Che significa, non chiedeteci altre rinunce anche in Liguria. Luca Pirondini dal canto suo, ribadisce: «La mia candidatura è reale. E non è fatta dal M5S per prenotare posizioni nella prossima giunta o alzare la posta, come qualcuno dice. Si tratta di "un segnale di assunzione di responsabilità del Movimento nei confronti del territorio, un atto legittimo di una forza politica importante». Certamente non una dichiarazione che faccia presagire una prossima resa, anzi il confronto si infiamma. In più ad agitare le notti liguri c’è il fantasma di Matteo Renzi: si aspetta la convocazione di un «salvifico» tavolo per chiedere al leader di Italia Viva l’abiura. Ovvero il consesso regionale dovrà porre ufficialmente il nodo di Genova, il capoluogo dove Renzi sostiene la giunta di Marco Bucci, con due consiglieri ed un assessore in giunta. L’ex presidente del Consiglio ha già fatto sapere di essere pronto a fare il sacrificio richiesto, e dire che per anni, il primo cittadino della Lanterna è stato il più amato ed il più citato ad ogni livello da Italia Viva, «come si cambia per ricominciare». «D'ora in avanti, se stiamo nel centrosinistra, non potremo più permetterci di stare con il centrodestra da altre parti - promette l’ex sindaco di Firenze-  questo deve valere per tutti, vale per tutti, non solo per Italia viva. Se si sta tutti insieme, si sta tutti insieme. Siamo pronti a sederci al tavolo e a discutere». Basterà ai tanti componenti del campo largo che in realtà non ne vogliono proprio sapere di Matteo Renzi e delle sue acrobazie?

 

 

Un diktat che accomuna il M5S, l’Alleanza Verdi Sinistra, il gruppo di Ferruccio Sansa, e buona parte del Pd ligure. Una distanza che viene da lontano, da quando una candidata del Pd, Raffaella Paita, attuale coordinatrice di Italia Viva, nel 2015, fu fortemente indebolita dalle lotte intestine del suo partito (vedi Sergio Cofferati), prima di essere sconfitta proprio da Giovanni Toti. Risolta la grana del candidato, poi se ne dovrà affrontare un’altra, altrettanto ostica: il programma. Ad esempio sulle infrastrutture, si preannuncia un’altra guerra di tutti contro tutti. Insomma a due mesi esatti dal voto (27-28 ottobre), e ad un mese dalla presentazione delle liste, la situazione nel campo largo appare ancora in alto mare. Nel fine settimana l’ultimo episodio della commedia degli equivoci, una puntata che si preannuncia strappa lacrime.