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La corsa contro il... Centro. Conte, la giravolta anti Renzi e il flirt con Meloni

Edoardo Sirignano
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Operazione centro. Così possiamo definire la strategia di Giuseppe Conte per riprendersi quell’elettorato moderato che non si riconosce nelle forze che sostengono Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Lo stratega pentastellato sa bene che a sinistra lo spazio è saturo. Nel “serbatoio rosso” di consenso l’acqua scarseggia ed è ben ripartita tra il nuovo Pd massimalista di Elly Schlein e la sinistra di Fratoianni-Bonelli. Per i gialli, dunque, resta poco, anzi pochissimo. Ecco perché quel Giolitti 2.0 che, come il miglior sarto, riesce a cucire l’abito a seconda di chi lo indossa, ancora una volta, si adatta alle misure della coalizione. Qui l’unico spazio per allargarsi, al momento, è quel vuoto lasciato da mamma Dc, che non sono riusciti a colmare i vari Carlo Calenda e Matteo Renzi. Quest’ultimo, in particolare dopo il ritrovato feeling con Elly e il mai dimenticato Nazareno, si è creato più di qualche nemico tra gli anti-compagni.

 

 

Se ne è accorto il furbo Giuseppì, campione nel saper cogliere il momento giusto, che effettua l’ennesima svolta e torna a essere, dunque, quel novello De Gasperi, come lo aveva soprannominato qualcuno ai tempi del Covid. Lì, infatti, ci sono delle vere e proprie praterie, che certamente non possono essere occupate dal solo Marratin. Il piano, dunque, è: prendersi i voti dei cattolici, pur restando in quell’opposizione, che per tornare a essere maggioranza, non può fare a meno di lui. Diventando la destra della coalizione, poi, si candiderebbe a interlocutore naturale di Meloni e dunque si tornerebbe a sedere a quel tavolo delle trattative, fino all’altro ieri occupato da Matteo della Leopolda. Entusiasti, in tal senso, sia quei leghisti che già sono andati al governo con Conte, sia quei fedelissimi della premier che con l’ex premier hanno sempre dialogato quando si è trattato di prendere decisioni importanti. Vedi la promozione della pentastellata Floridia alla presidenza della commissione vigilanza Rai o di quel sempre presente Bonafede nel consiglio di presidenza della giustizia tributaria. Il tutto, però, fatto con estrema prudenza.

 

 

Conte, infatti, sa bene che per sopravvivere deve restare nel campo largo. Un Movimento 5 Stelle fuori da due blocchi converrebbe solo a Grillo. Impossibile batterlo su questo fronte. Il comico genovese, senza ombra di dubbio, è l’aggregatore naturale di quel mondo che non si riconosce nei partiti tradizionali. Il fondatore, non a caso, sta incentrando la sua guerra al vertice, proprio sui capisaldi delle origini, il no alle alleanze, al doppio mandato, a tutte quelle cose che renderebbero la sua creatura simile ai partiti del sistema. Un sistema, invece, in cui si sa barcamenare alla perfezione quel professore diventato stratega. Quando si parla di piazzare i suoi, Conte ormai non è inferiore al migliore Franceschini. Ragione per cui punta dritto al consenso della sua Margherita, di quello scudocrociato, stanca di abbassare il capo ai compagni in cambio di qualche briciola. Un sentimento silenzioso che, se intercettato, può diventare più pericoloso di quel «Vaffa», che ormai stupisce più nessuno e con cui si può fare casino, avere visibilità, ma non certamente tornare in quel di Piazza Colonna.

 

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