Pd, all'armi siam renziani: i big che aprono al rientro. E c'è chi prepara il correntone
In due settimane, sotto la canicola agostana, è diventato l’unico mattatore del campo largo. Confessioni, retroscena, provocazioni, insomma il solito armamentario di Matteo Renzi. Che naturalmente si è attirato l’astio di una parte importante dell’alleanza, i nemici di sempre: Giuseppe Conte, Angelo Bonelli, Nicola Fratoianni, Roberto Speranza. Dall’altra parte, in modo più curiale, e in silenzio, c’è un’area del Pd, sostanzialmente la minoranza, che prepara il terreno al grande ritorno dell’ex segretario. Certo, legami del passato che per alcuni sono rimasti forti, ma soprattutto mero calcolo politico. Contro Elly Schlein. La realtà è che la corrente, che fino alla scorsa legislatura non a caso veniva definita «renziana», da quando la segretaria si è insediata al Nazareno, non tocca più palla. Nessuna consultazione, nessun consiglio: spariti dai radar e soprattutto dagli organigrammi interni.
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Una situazione insostenibile per par- lamentari che per tanti anni hanno frequentato assiduamente le stanze del «potere». Nomi altisonanti come Lorenzo Guerini, ex ministro della difesa, Simona Malpezzi, ex capogruppo al Senato, Filippo Sensi, ex portavoce di Matteo Renzi negli annidi Palazzo Chigi, Simona Bonafe, sodale dagli albori, Giorgio Gori, ex sindaco di Bergamo. E dietro di loro, una pletora di amministratori, che si intendono poco con i «ragazzi» di Elly Schlein, basti pensare alle difficoltà in Toscana del pur navigato Eugenio Giani con il «dirimpettaio» Emiliano Fossi.
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Della partita anche, ma in modo più defilato, Stefano Bonaccini, così come non è del tutto estraneo ai ragionamenti in corso neanche Goffredo Bettini. Che intanto insieme a Matteo Ricci ha organizzato il ritorno del figliol prodigo alla festa dell’unità domani a Pesaro. Una fitta rete di rapporti quindi, con l’obiettivo di scalzare quella che viene definita «l’imbucata», una sorta di usurpatrice che vinse a sorpresa le primarie nel febbraio del ‘23. L’ex presidente del Consiglio da questo punto di vista è considerato lo strumento ideale per ribaltare i rapporti di forza, e scalare le gerarchie.
Non un progetto a breve scadenza ma un percorso che arriva alle elezioni politiche del ‘27. Per la minoranza dem non è neanche necessario che il fu «rottamatore» torni prima o poi a casa, nel Pd. Basta la sua presenza come alleato, per prendersi la guida dell’alleanza, con la costanza del martello pneumatico. Una conferma che è arrivata anche dalle cronache di questi ultimi giorni: «Nel bene o nel male, purché se ne parli».
Comunque sia, il ritorno di Matteo Renzi, ha rotto definitivamente la «pax» imposta da Elly Schlein con la forza dei numeri. E rischia di pesare non poco nei rapporti con gli alleati preferiti da Elly Schlein: M5S ed Alleanza Verdi Sinistra. Che dell’ex sindaco di Firenze non ne vogliono sapere.
A parti pressoché ribaltate, l’altro caso che agita il Pd: Giuseppe Conte. Il leader del M5S in un’intervista domenicale, ha ribadito alcune posizioni note: l’indifferenza allo scontro tra Kamala Harris e Donald Trump, la richiesta della fine delle ostilità in Ucraina, uno scarso trasporto per l’Europa e la Nato. Argomenti «sentiti» anche in casa Pd: non a caso alle elezioni europee la segretaria ha portato a Bruxelles due «pacifisti» come Marco Tarquinio e Cecilia Strada.
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L’ex presidente del consiglio è riuscito comunque a sollevare un polverone, apriti cielo, sono subito usciti per dichiarare contro Alessandro Alfieri, Lia Quartapelle, Pina Picierno, Elisabetta Gualmini. Tutti della minoranza. Nel silenzio ufficiale del Nazareno, che non se la sente di attaccare l’alleato, neanche quando si rimette a scombinare le carte, come sta facendo in Liguria. A riprova del fatto che una nuova guerra Renzi- Conte potrebbe far saltare in aria il campo largo.