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Meloni, traffico d'influenze reato vago. Taormina: "La politica deve metterci mano"

Edoardo Sirignano
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«Il sistema Palamara è più vivo che mai. È cambiato solo il metodo. Si percorrono altre strade, ma il risultato è sempre lo stesso.
A dimostrarlo il recente caso Meloni». A dirlo lo storico avvocato di Silvio Berlusconi Carlo Taormina.

Quale la sua idea rispetto all’ultima vicenda che vede al centro la sorella della premier?
«Un po' confusa, piuttosto imprecisa. Non abbiamo, infatti, capito bene quali siano i contorni della presunta condotta. In un reato, come il traffico di influenze, è molto complicato dare una valutazione senza conoscere, con esattezza, la situazione. Abbiamo, poi, una normativa diversa da quella precedente».

Cosa è necessario, oggi, per ipotizzare tale reato?
«Innanzitutto l’esistenza concreta del rapporto tra il mediatore e il pubblico ufficiale.
In secondo luogo, che l’operazione sia destinata a produrre come conseguenza la consumazione di un reato da parte del pubblico ufficiale».

Possiamo dire che, in un certo senso, la magistratura prova a governare la politica?
«Fino a questo momento lo ha fatto attraverso tre reati. Il primo era quello dell’abuso d’ufficio e lo abbiamo tolto di mezzo. Stiamo parlando di un reato spia, di persecuzione. Il secondo, invece, è quello della corruzione per esercizio della funzione (art. 318 c.p.), quello contestato a Toti. Anche, in tal caso, non sono mancati gli abusi. Tante volte, però, è stato lo stesso legislatore a consentirli. La norma vigente, infatti, non prevede l’esistenza di un rapporto di causalità tra l’atto dell’ufficio e l’utilità ottenuta. Se questo non c’è, non possiamo parlare di corruzione. Il terzo, infine, è il traffico di influenze, su cui tutti ci auguravamo che si potessero mettere le mani seriamente».

In che senso?
«Devo dire, con franchezza, che la norma, come è stata approvata, è solo in parte accettabile. Non dovrebbe esistere se non ci sono indicazioni concrete sul comportamento preteso dall’ordinamento. Fino a quando si dice che un mediatore chiede soldi per raggiungere un giudice e farsi fare una sentenza in un modo piuttosto che in un altro, ma non si dice come deve essere il contatto, quale sia l’obiettivo da perseguire, attraverso l’opera illecita del pubblico ufficiale, siamo sempre nel vago e l’obiettivo non viene colto».

L’ideatore del manuale Cencelli, su queste colonne, intanto, spiega come sia normale che la politica decida le nomine...
«Sono d’accordo con lui. A sostenerlo l’art. 346 bis del c.p. Quando un organo pubblico preferisce una persona piuttosto che un’altra può essere un fatto disdicevole, non condivisibile, ma non è reato. In base alla normativa vigente, non è traffico di influenze. In tal senso ha ragione Cencelli. Diverso, invece, è il caso Palamara, dove si violava la legge, mettendo Tizio al posto di Caio come Procuratore della Repubblica di Roma, pur non avendo i titoli. Quell’opera di lobby era sicuramente un’interferenza».

Con quest’ultima parola, però, pensiamo soprattutto alle intromissioni dell’Anm nella sfera pubblica. Le condivide?
«È molto difficile prendere posizioni a riguardo. L’Anm è un sindacato e tutela dunque i suoi interessi. A dir la verità, dovrebbe interessarsi degli stipendi e dell’organizzazione della categoria, ma sappiamo tutti che, invece, è il contraltare del Csm. Fa, quindi, il bello e il cattivo tempo. Nel caso di Arianna Meloni, comunque, ritengo ci sia un pizzico di legittima difesa.
Il difetto della denuncia di Sallusti è la mancanza di un qualsiasi elemento di concretezza. Sarà stato uno spiffero, un’illazione o, come penso, una notizia veritiera».

Qualcuno, intanto, continua a parlare di sistema Palamara. Esiste ancora?
«Dal punto di vista dell’impostazione ideologica, la connivenza tra una parte della magistratura e una certa sinistra c’è. A dir la verità, non ci abbandona dagli anni 50. Il sistema Palamara, pertanto, è più vivo che mai. Anzi, forse la situazione è più grave».

Può fare un esempio...
«Circa un mesetto fa ho difeso un magistrato vittima di pressioni da parte di una consigliera della sezione disciplinare del Csm. Si percorrono altre strade, ma il risultato è sempre lo stesso».

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