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La sinistra grida sempre al fascismo, ma non una parola sul terrorismo rosso

Pietro De Leo
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Non c’è traccia di dispaccio di agenzia. Nessuna nota arriva nelle redazioni. Neanche un post, come atto dovuto, naviga in Rete. È assordante il silenzio della sinistra sulla scarcerazione, per buona condotta, dell’ex terrorista, Simone Boccaccini. L’ex detenuto, oramai, premiato dalla Giustizia, è un ex componente dell'organizzazione armata di sinistra «Nuove Brigate Rosse» che partecipò all’omicidio di Marco Biagi. Per il figlio del giuslavorista Lorenzo, «è come se avessero ucciso mio padre un’altra volta». Silenzio assoluto, invece, si registra dalla sinistra. Un silenzio che può essere interpretato come un tentativo di evitare una riapertura delle ferite del passato o come un segno di imbarazzo rispetto a questioni non risolte del rapporto tra sinistra e terrorismo.

 

 

Eppure, la sinistra è sempre pronta a rifugiarsi nell’antifascismo. Questo uso distorto del concetto di antifascismo appare come un riflesso della crisi di idee che attraversa una parte della sinistra italiana, incapace di formulare un'alternativa politica credibile e solida. E così, qualsiasi posizione che si discosti dalla propria visione è fascista. È impossibile narrare tutte le volte che la sinistra ha bollato fascista il governo Meloni dal suo insediamento. Questa strategia, già ampiamente usata durante la Prima Repubblica dal Pci, oggi è sempre in auge. In buona sostanza, l'accusa di fascismo diventa una scorciatoia dialettica, una sorta di trappola ideologica in cui si cerca di catturare l'avversario politico. Tuttavia, questo approccio rischia di essere controproducente, allontanando ulteriormente quella parte di elettorato che già percepisce la sinistra come distante e incapace di rispondere alle esigenze reali del Paese. E il fatto che la sinistra è stata al governo per dieci anni senza vincere le elezioni ne è una testimonianza.

 

 

L’altra dote della sinistra è negare l’evidenza. Prendiamo un esempio recentissimo, per meglio capire. Lo scorso 2 agosto s’è celebrata la ricorrenza della strage di Bologna e parte della sinistra ha accusato il governo di essere connivente col terrorismo nero. E questo, nonostante lo stesso governo, con in testa la premier, Giorgia Meloni, abbia ammesso che la strage alla stazione di Bologna e quella dell’Italicus furono di matrice fascista. Riportiamo stralcio delle dichiarazioni. ll ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, ha parlato di «una strage neofascista»; il presidente del Senato Ignazio La Russa ha addirittura sottolineato l'importanza di proseguire nella desecretazione degli atti e ha definito l'esplosione «un vile attentato che le sentenze hanno attribuito a una matrice neofascista». Anche Meloni, nel suo messaggio, ha usato la formula di «un terrorismo, che le sentenze attribuiscono a esponenti di organizzazioni neofasciste». Ma, per la sinistra, il governo Meloni è connivente col terrorismo nero.

Tornando all’ex brigatista rosso scarcerato per buona condotta, c’è chi interpreta il silenzio della sinistra come una mancata assunzione di responsabilità morale anche verso le vittime del terrorismo di matrice rossa. E a proposito di vittime del terrorismo, viene in mente l’attacco che proprio dal palco della stazione di Bologna, lo scorso 2 agosto, nel corso della commemorazione della strage, il presidente dell'associazione che riunisce i familiari delle vittime, l’ex parlamentare del Pd, Paolo Bolognesi, ha sferrato un attacco alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e al suo esecutivo, proprio per il mancato riconoscimento della matrice fascista dell'attentato. Ma oggi, da parte dell’ex deputato Pd Bolognesi, in qualità di presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, si registra pure un assordante silenzio. Nulla di nuovo sotto il sole.

 

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