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Italia Viva, gli ayatollah di Renzi all'assalto di Marattin

Aldo Torchiaro
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Le valigie sono pronte, ma non per andare in vacanza. Tra i parlamentari di Italia Viva, ma anche tra gli eletti locali e i dirigenti provinciali c’è aria di trasloco. Si fanno tre nomi, nel partito renziano, pronti a calare la scialuppa di salvataggio. Quello più probabile è Naike Gruppioni, ex di Azione transitata dieci mesi fa tra i renziani e già pronta ad approdare a nuovi lidi. Non è la sola. Dietro le quinte della proverbiale riservatezza di Antonio Tajani, Forza Italia stringe i contatti e gli accordi con chi vuole lasciare gli incerti lidi del renzismo per una collocazione più solida. E non è neanche solo IV a perdere pezzi: anche Azione di Carlo Calenda vede più di un esponente interrogarsi sul futuro. La «grande convention unitaria» preannunciata dai calendiani per l’autunno, al momento, è confermata. Elena Bonetti, ex renziana passata con l’altra gamba del Terzo polo, rassicura. Ma manca un dettaglio: quali altri pezzi del centro dovrebbero raggiungere Azione. I giovani di Nos, che hanno portato ad Azione oltre trentamila preferenze, hanno già abbandonato la nave. Ma non la politica. Alessandro Tommasi, enfant prodige dell’area calendiana, si guarda intorno.

 

 

E così fanno i giovani renziani della scuola di politica «Meritare l’Europa»: diplomati l’anno scorso al corso estivo di IV, un centinaio di loro – guidati da Emanuele Cristelli, 29 anni – hanno messo nero su bianco la loro sfiducia nei confronti del leader. Renzi per il momento prova a ignorarli. Così come non risponde dei 300 dirigenti che hanno firmato un altro documento che chiede subito un congresso.

 

 

Sulle chat, volano botte da orbi. Tutti contro tutti. Le bacheche di Facebook diventano un ring dove i dirigenti si insultano a vicenda: «Non rappresentate nessuno». «Invece sono il segretario provinciale». E pronta, la replica: «Hai chiesto a tutti gli iscritti della tua provincia se puoi firmare contro Renzi?». L’aria è quella mefitica degli ultimi giorni nel bunker di Berlino. Si salvi chi può. A mettersi in salvo, dicono ambienti del Pd, saranno pochissimi parlamentari renziani. Si parla di tre nomi, uno è Renzi stesso. Una donna. Un avvocato. Una ridda di voci, nel caos agostano di Iv. A farne le spese è Luigi Marattin, preso di mira da torme di hater fuori controllo. A ogni suo post sui social segue una fiumana di insulti: lo stile ricorda quello dei grillini degli esordi. Il lessico pure. A ogni argomento che solleva l’inarrestabile sostenitore del Terzo polo, uno shitstorming. «Vattene, traditore». «Sei un Giuda». «Affondi il coltello nella schiena di Renzi», e via così per centinaia di commenti. Anche in questo caso, dal vertice non interviene nessuno.

 

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