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Renzi prova il colpaccio col Pd con il “contratto alla tedesca”. Che però fallì con il Conte I

Mira Brunello
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L’immagine non è tra le più confortanti. Matteo Renzi, Angelo Bonelli, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni ed Elly Schlein chiusi in una stanza a redigere il contratto alla «tedesca». «Approviamo il salario minimo?», «Non dirlo neanche per scherzo», «Procediamo con la separazione delle carriere dei magistrati?», «Allora ditelo, mando all’aria il governo»: dialogo neanche troppo fantasioso tra i possibili alleati del campo largo, sulla carta, divisi su tutto. Una baraonda, più che una possibile maggioranza parlamentare. Eppure proprio il leader di Italia Viva ha riesumato il famigerato contratto alla «tedesca»: «quella del campo largo è un’alleanza molto difficile da costruire e ci vorrà un contratto alla tedesca, per usare le parole di Giuseppe Conte, in un’altra era geologica, con il governo giallo-verde. Bisognerà mettersi lì, individuare i temi sui quali è possibile convergere e trovare l'accordo». Lo strumento in questione fu utilizzato nel 2018 per regolare i rapporti tra il M5S e la Lega durante il primo governo dell’allora quasi sconosciuto Giuseppe Conte, per l’appunto l’avvocato del popolo. Un esecutivo non particolarmente memorabile in quanto a coesione, durato 1 anno, tre mesi e quattro giorni. In pratica il tempo per approvare i decreti sicurezza (richiesti da Salvini), ed il reddito di cittadinanza (bandiera del Movimento 5 stelle). E consumarsi lentamente tra polemiche continue, per poi andare a sbattere rovinosamente sulla realizzazione della ferrovia ad alta velocità Torino-Lione (avversata dall’indimenticabile ministro dei trasporti di allora, Danilo Toninelli).

 

 

Per dire che non c’è vincolo contrattuale in grado di cementare rapporti politici inconciliabili. D’altra parte sui confini di un’alleanza di centro sinistra si continua a discutere animatamente. Ieri sul tema è intervenuto nuovamente Goffredo Bettini, che avendo tenuto a battesimo Francesco Rutelli, ha acquisito un’indubbia expertise sull’argomento. In pratica il padre nobile della sinistra non partirebbe da Renzi e Calenda: «Non sceglierei loro nel costruire il nuovo, se fossi un uomo di centro. Sono importanti personalità ma non possono essere, come nel passato, i protagonisti». E continua: «Lo stesso Renzi ha detto più volte che non intende dare le carte. Aprire un processo e starci dentro è cosa diversa che porsi come l’unico interlocutore. Questo sarebbe sbagliato, per Italia Viva e l’insieme dell’alleanza. Già in questi giorni si avvertono da più parti disagi e malumori».

 

 

Disagi e malumori che attraversano il campo largo soprattutto in Liguria, nonostante che l’ex presidente del Consiglio abbia dato il via libera al candidato in pectore, Andrea Orlando. «Andrea Orlando è stato mio ministro - dice l’ex sindaco di Firenze -. Poi mio rivale. Su una marea di questioni mi sono scontrato con lui. Non so se sarà lui il candidato per la Liguria, ma se non ci sono veti e ci si mette a sedere, non è detto che si faccia l'accordo, ma se io non voglio veti io non ne metto. Noi ci siamo». Al Nazareno hanno deciso per il basso profilo, non rilanciare e di fatto non rispondere alle continue offerte dell’alleato di centro. Anche perché Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni ed Angelo Bonelli, sono già sufficientemente nervosi, inutile alimentare divisioni preventive, faremo i conti a tempo debito. M5S ed Avs non si convincono neanche con il contratto alla tedesca, per loro le porte devono rimanere chiuse ad ospiti indesiderati. «Renzi è il solito, e poi a conti fatti ci porta via più voti di quelli che ci promette», dicono da Campo Marzio, quartiere generale dei Cinque Stelle. Insomma un rebus che per ora non ha soluzione, in fondo non tutti i corteggiamenti hanno un buon esito.

 

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