campo largo
Renzi e i test d’ammissione della sinistra per far parte del campo largo
La praticabilità del sentiero, al momento ancora stretto, che riporta Matteo Renzi nel perimetro del centrosinistra si verificherà in Parlamento. Fra i dem il tema fa discutere, nei conciliaboli di Palazzo come nelle chat delle aree politiche - sempre più ‘sfarinate’ - della galassia dem. Le certezze sono poche. Una di queste è che il campo largo o larghissimo va costruito se si vuole avere una opportunità di vittoria sulle destre. E su questo «siamo ancora a caro amico», dicono fonti parlamentari del Pd. La seconda certezza dei vertici dem è che il Partito Democratico è centrale. In altre parole, a Schlein e ai suoi tocca l’onere di tenere insieme le forze di opposizione attorno a temi che, in futuro, andranno a formare il programma della coalizione che verrà. L’altra certezza, quasi un mantra in questi giorni, è che «non si mettono veti e non si accettano dall’esterno». Una formula che ha aperto la strada del centrosinistra al leader di Italia Viva.
Nonostante questo, i nodi sono ancora tutti sul tavolo e non sarà un’altra fotografia a scioglierli. «Ci penserà il Parlamento», dice una fonte dem. Saranno i comportamenti che le singole forze politiche terranno in parlamento a dire se la coalizione larga è possibile. Qualche primissima indicazione, viene sottolineato, è arrivata già nelle ultime settimane. La battaglia sule carceri, ieri in Senato, ha visto marciare compatte le opposizioni. C’è poi la mobilitazione per la raccolta delle firme contro l’Autonomia. E ci sono le amministrative che hanno visto il centrosinistra presentarsi unito e vincere in molti comuni. Il prossimo test saranno le regionali d’autunno, quando si voterà in Emilia-Romagna, Umbria e - se Toti si dimetterà - anche in Liguria. Se il centrosinistra più Renzi dovesse presentarsi unito e vincere, la strada sarebbe spianata. Nel frattempo, le diverse anime del Pd continuano a osservare le mosse dell’ex rottamatore e a interrogarsi sulla ragione della virata del leader Iv.
Leggi anche: Supermedia sondaggi, il Pd non regge il confronto con Fratelli d’Italia. Avs in discesa
A portare Renzi ad accelerare sulla strada della coalizione c’è, come lui stesso spiega, lo stato di fibrillazione dell’esecutivo che lo porta a dire «le elezioni anticipate non sono più un tabù. Nella maggioranza è in corso un regolamento di conti che potrebbe far nascere qualcosa di nuovo a destra. Ma se si rompono noi dobbiamo evitare governi tecnici o parlamentari e andare a elezioni». E se da Giuseppe Conte e dal M5s arriva un altolà, Renzi risponde: «Se è finita la stagione dei veti, è finita sia in entrata sia in uscita. Se Conte vuol parlare del passato, discutiamo. Mi incolpa di aver fatto cadere il suo governo. Ma io non rinnego di aver portato Draghi a Palazzo Chigi. Non credo gli convenga aprire questo dibattito: non ho firmato io i decreti Salvini sull’immigrazione, non mi sono mai definito sovranista, non ho mai appoggiato Trump», rilancia Renzi. A frenare, però, non è il solo Conte. Tra i riformisti c’è chi si domanda quale sarà il futuro ruolo di quell’area nel momento in cui il ‘centro riformista’ dovesse essere esternalizzato. E agli ex Articolo Uno, quella di Renzi appare ancora come una iniziativa unilaterale. La linea della segretaria rimane quella di non mettere veti su nessuno e di non accettarne. Una linea che, a scandagliare i parlamentari dem, sembra godere di una condivisione pressoché unanime. Insomma, non basta la fotografia con l’abbraccio fra Schlein e Renzi a concretizzare un’alleanza.