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Ue, Meloni tratta sui commissari. E Tajani mette i paletti all'Ursula-bis: “Marcia indietro se servirà”

Edoardo Romagnoli
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Un conto è la maggioranza in Italia, un conto quella in Europa. È questa, in sintesi, la spiegazione che i tre partiti di governo hanno dato per motivare la «spaccatura» andata in scena durante la rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea. Matteo Salvini rivendica il no della Lega definendo l’Ursula bis come «uno schiaffo alla democrazia, un grande accordo di potere, di posti, di prebende, fondato sugli interessi economici». Il capo delegazione di Fratelli d’Italia a Strasburgo Carlo Fidanza ha spiegato come il voto contrario dei conservatori di Ecr «è coerente con la posizione di Giorgia Meloni al Consiglio europeo del 27 giugno» ed è giustificato «dal discorso vicino alle istanze della sinistra pronunciato in Parlamento (da von der Leyen, ndr.)». Una sintonia, quella tra Fdi e Lega, che Salvini ha rimarcato: «Sono contento della compattezza tra Lega e Fdi. Con la Meloni ci siamo messaggiati dopo il voto, siamo in totale sintonia».

 

 

Da questo giro di chiamate è rimasto fuori il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Non li ho sentiti (Meloni e Salvini, ndr.)» ha dichiarato. Il segretario azzurro ha rivelato che sperava «nel sì di FdI e Lega» (essendo la von der Leyen la candidata di punta del Ppe, il gruppo europeo di cui fa parte FI) ma che «l’essere parte di famiglie europee diverse o aver votato diversamente per von der Leyen non avrà alcuna ripercussione sulla stabilità del governo» e «sulla coalizione». Ogni voto, ha continuato Tajani, «nelle istituzioni comunitarie corrisponde a una maggioranza diversificata: una in Consiglio, una per la presidenza del Parlamento, un’altra per i vicepresidenti del Parlamento». Poi però ha tenuto a specificare che «se poi ci sarà da fare marcia indietro, la faremo». Ma quali sono i motivi che hanno portato la coalizione di governo a intraprendere strade diverse? Il leader della Lega fissa nel Green Deal lo scoglio più grande. «C’è una precisa strategia anti-europea e anti-italiana, si mettono in ginocchio le famiglie italiane, mi chiedo se la politica della case green andrà avanti - ha spiegato - con 50mila euro da sborsare a famiglia italiana e se andrà avanti la politica sulle auto». La strategia di Salvini è chiara, soprattutto dopo l’ingresso della Lega nel gruppo dei Patrioti di Orban, stare all’opposizione sperando che la «maggioranza debolissima» si schianti sui principali dossier. «Voglio vedere i Popolari mettersi d’accordo sull’immigrazione e sulle tasse con i Verdi» che sono «Verdi fuori, ma rossi dentro, sono sostanzialmente dei comunisti travestiti».

 

 

Tajani ha spiegato che il sostegno a von der Leyen era necessario perché «serviva stabilità». Il senatore forzista Gasparri ha dato un’interpretazione sul niet della premier: «Meloni ha pensato ad alcuni effetti a breve termine» e «che potesse essere scavalcata da Salvini nella propaganda» però «avrebbe dovuto fare una scelta più coraggiosa». Anche perché «quando Giorgetti dovrà negoziare la legge di Stabilità, lo dovrà fare con l’Europa. Quindi in Europa bisogna starci». La scelta dei conservatori è stata chiara: un no all’ennesima maggioranza che vede insieme popolari, socialisti e liberali. Anche perché la convinzione dentro FdI è che il voto di ieri non avrà conseguenze nell’assegnazione dei commissari. Una certezza che ha ribadito anche il ministro Fitto (uno dei nomi papabili per fare il commissario): «Il voto di ieri non comporta alcun cambio di approccio rispetto ai passaggi successivi». Intanto Meloni continua le trattative.

 

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