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Renzi-Schlein, l'abbraccio e il patto segreto: così progettano il nuovo "campetto largo"

Mira Brunello
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L’unica cosa certa è che non è stato un colpo di fulmine. Quando lei conquistò il Nazareno, lui stappò la classifica bottiglia di champagne. «Sono arrivati i cosacchi, il Pd non sarà più lo stesso, per noi centristi inizia una stagione esaltante», fu l’epitaffio che le dedicò, senza tante cortesie. I trascorsi d’altra parte non che fossero stati memorabili: lei abbandonò il partito il minuto prima del suo arrivo, come segretario. Per dire che di particolare intesa tra i due, tra Elly Schlein e Matteo Renzi, è impossibile parlare. Sarà anche per questo che il possibile ritorno del "figliol prodigo" nel campo largo, non provoca salti di gioia tra i sostenitori della segretaria dem. L’unico che parla, in modo "notarile" è il presidente dei senatori Francesco Boccia: «Schlein non ha posto mai veti su nessuno e non è disposta a subirne. Con Renzi abbiamo votato compattamente contro gli ultimi provvedimenti negli ultimi mesi. L’unità? bisogna vederla nelle regioni. Andremo al voto in Emilia-Romagna, Umbria e speriamo in Liguria presto. Le forze politiche che si rivedono nel progetto unitario dei progressisti devono essere conseguenti». Un benvenuto non troppo caloroso, che nasconde una certa freddezza che si respira tra le prime linee dem.

 

 

Troppe polemiche in questi anni, da una parte e dall’altra, ed una differenza quasi "antropologica" del vivaio di Elly rispetto alla generazione che ha fatto strada con Matteo Renzi. Perché poi la profezia dell’ex sindaco di Firenze almeno in parte si è avverata. Con lo sbarco dell’extraterrestre (come era chiamata nei primi mesi la segretaria dem) ha fatto l’esordio un nuovo partito, lontano mille miglia, da quello che aveva lasciato il "rottamatore". Un Pd di sinistra, per alcuni con sfumature "gruppettare", che firma il referendum abrogativo sul Jobs Act, che è pur sempre il caposaldo della stagione renziana al governo. Se non è un veto (se non altro sulle idee), è qualcosa che gli assomiglia. In pratica una distanza abissale, naturale che non possa essere dimenticata così in fretta. Un po’ come in quei matrimoni tardivi che nascono per interesse, con i parenti che mugugnano sottovoce, pronti a far saltare le nozze. In Transatlantico un deputato di lungo corso istruisce un gruppetto di colleghi di primo pelo. Al centro della discussione un’altra intervista clamorosa dell’ex segretario, sempre con Maria Teresa Meli. Quella dell’11 agosto 2019, in cui l’allora senatore di Rignano aprì inaspettatamente ad un governo con il M5S. La mossa del "cavallo" consentì a Giuseppe Conte di rimanere a Palazzo Chigi, sostituendo la Lega con il Pd. «Quanto tempo è durata quell’intesa?», maramaldeggiano i deputati alla prima legislatura, «un anno e mezzo perché poi Renzi si intestò una nuova svolta con Mario Draghi».  Ed il punto nevralgico in casa dem è proprio questo: lo "sposo" non gode di buona fama, troppo "fedifrago".

 

 

Intanto, anche dentro Italia Viva (destinata a cambiare nome) qualcuno non ha gradito l’annuncio delle nozze con Elly, come Luigi Marattin che contesta la convocazione di un’assemblea nazionale, e non di un congresso. «Andiamo a fare il bilanciamento riformista di chi vuole la patrimoniale, uscire dalla Nato, abolire il Jobs Act» si chiede ironicamente il deputato attirandosi le ire dei ‘testimoni’ che sono già in fila davanti al banchetto nuziale. In ogni caso non sarà il "matrimonio" del secolo.

 

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