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Ue, il giorno della verità per von der Leyen. Il conto dei voti e il rischio

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Giovedì 18 luglio si saprà se Ursula von der Leyen sarà ancora alla guida della Commissione europea. Una bocciatura, seppure sempre possibile nel segreto dell'urna, è esclusa nei palazzi di Bruxelles e Strasburgo. Anche martedì, in un'elezione diversa ma comunque segreta per la presidenza del Parlamento europeo, c'è stata un'ampia convergenza sul nome di Roberta Metsola e ha retto il cordone sanitario verso i gruppi di destra dei Patrioti e dell'Europa delle nazioni sovrane. Sulla carta, la base di partenza è di 401 voti, la somma delle forze della maggioranza 'Ursula' composta da popolari, liberali e socialisti. Un margine troppo basso per superare la soglia dei 461, se si considera una quota del 10-15% di franchi tiratori e il 'no' annunciato da diverse delegazioni, come i francesi e gli sloveni tra i popolari, gli irlandesi tra i liberali e i molti mal di pancia che si registrano tra i socialisti, soprattutto tra gli indipendenti eletti nelle liste dei partiti. Il via libera dei Verdi, con i loro 53 preziosissimi voti, è dato quasi per certo anche se i popolari vorrebbero che il loro apporto non sia visto come un ingresso in maggioranza. Dopo che von der Leyen avrà illustrato le sue linee programmatiche, a cui molti indecisi danno molta importanza, ci saranno due ore in cui i gruppi si confronteranno prima del voto, previsto per le 13. In quello spazio ci sarà l'annuncio dei Verdi e della pattuglia di Fratelli d'Italia, che potrebbe convergere i suoi 24 voti su von der Leyen dopo che la premier Giorgia Meloni avrà ottenuto delle garanzie sui ruoli nella futura Commissione.

 

 

Difficile che non passi la leader tedesca, che si è spesa in tutti i modi negli ultimi mesi, scendendo prima nell'arena politica da 'spitzenkandidat' del Ppe e poi come interlocutrice di ogni forza politica pro Ue, pro Ucraina e pro Stato di diritto. In caso contrario il Consiglio europeo dovrà votare entro un mese un altro candidato e l'Europa darebbe un'immagine di debolezza, come incapace di accreditarsi come attore globale solido in un tempo di crisi.

 

 

Mercoledì 17 luglio, intanto, il Parlamento europeo ha approvato la sua prima risoluzione per confermare il suo sostegno all'Ucraina, che si è trasformata subito in un terreno di scontro tra le forze italiane. Il Parlamento europeo "condanna la recente visita del primo ministro ungherese Viktor Orban alla Russia" e "ribadisce la sua precedente posizione secondo cui tutti gli Stati membri dell'Ue e gli alleati della Nato dovrebbero impegnarsi collettivamente e individualmente a sostenere l'Ucraina militarmente con almeno lo 0,25% del loro Pil annuo; accoglie con favore la decisione della Nato di garantire forniture militari per un valore di almeno 40 miliardi di dollari nel futuro prossimo". Fratelli d'Italia ha votato a favore all'intera risoluzione ma contro "il paragrafo relativo alle iniziative del primo ministro ungherese Orban, pur avendole già giudicate in maniera critica nei giorni scorsi" perché conteneva "un attacco strumentale al governo ungherese", afferma il capodelegazione Carlo Fidanza. Contraria la Lega che parla di atteggiamento strumentale da parte della maggioranza, "che nella sua proposta attacca in maniera del tutto inopportuna la presidenza di turno dell'Ue". Voto negativo anche da Verdi, Sinistra Italiana e Movimento Cinque Stelle, per cui la maggioranza parte col piede sbagliato perdendo un'occasione "per cambiare strategia nella guerra in Ucraina e affermare finalmente la pace". Tiene la linea favorevole del Pd tranne per i due indipendenti Cecilia Strada e Marco Tarquinio.

 

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