Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

Marattin chiede la svolta: “A Renzi devo tutto, ma... Azione e IV così finiranno, serve un nuovo partito”

Aldo Torchiaro
  • a
  • a
  • a

Attentato a Trump, eccessi della polarizzazione, crisi dei riformisti: abbiamo sentito il deputato Luigi Marattin, di Italia Viva, che insieme a Enrico Costa ha diffuso un documento per dare vita, sostituendo Iv e Azione, a un nuovo soggetto dell’area liberaldemocratica.

Dopo l’attentato a Trump, l’estremismo torna ad essere, cento anni dopo quella considerazione di Lenin, la malattia senile della politica?
«Se vige la regola dello slogan facile per ottenere il consenso facile, la gara a chi lo fa meglio non può che portare all’estremizzazione del messaggio politico incentrato su una persona. Per invertire questa tendenza occorre un lungo lavoro che riparta dalle fondamenta della società: anch’esso, per natura, incompatibile con i tempi della politica di oggi, che ormai si misurano in settimane se non in giorni».

Vede rischi di degenerazione anche in Europa?
«Più che negli USA, se chiede a me. Siamo democrazie più giovani (a parte quella inglese) e più esposte all’influenza russa, che in questo momento ha particolare interesse a minare le fondamenta delle democrazie liberali. Io penso che la soluzione sia una politica liberal-democratica orgogliosamente autonoma dai due estremi. Ci dicono che in Italia (che ha un sistema elettorale per due terzi proporzionale) non c’è spazio. Mi devono spiegare perché in Gran Bretagna e in Francia (con leggi elettorali maggioritarie e che spingono al "voto utile") un partito centrale ha preso rispettivamente il 12% e il 20%».

 

 

I riformisti italiani sono divisi. E perdenti perché divisi. Quali soluzioni indica?
«La creazione di un unico e stabile partito liberal-democratico e riformatore che si ponga in modo orgogliosamente autonomo da questa destra e da questa sinistra. Un partito non più personale (quali sono i due partiti che attualmente occupano quello spazio), ma a cui si aderisce perché si crede in una visione di società e nelle politiche che servono per realizzarla. Che sono, l’una e le altre, sideralmente diverse da quelle che propongono destra e sinistra. Un partito che abbia organizzazione territoriale e organi dirigenti che discutono con passione e senza la paura di contraddire il capo. E in grado di parlare ai 16 milioni e mezzo di italiani che si sono astenuti alle ultime politiche. È la sfida che Enrico Costa ed io abbiamo sostenuto nell’ultimo anno (con un tour di 12 iniziative dalla Puglia al Piemonte) e che abbiamo ripreso con maggior convinzione dopo il disastro delle Europee, anche con un pubblico e trasparente appello».

La sua petizione pubblica conosce un certo successo. Chi sta aderendo?
«Quasi 7.000 persone. Molte personalità esterne, i LibDem, e tanti, tantissimi dirigenti e iscritti di Azione e Italia Viva, più qualcuno di Più Europa.
Non penso vada presa per oro colato, ma penso che difficilmente si può ignorare il messaggio di unità che viene dalla base. Che è lo stesso che Enrico ed io troviamo quando giriamo l’Italia. Poi torniamo a Roma e troviamo un clima ben diverso».

 



Qual è il percorso di Italia Viva e Azione, al ritorno di settembre?
«A me pare che da entrambe le parti non ci sia piena consapevolezza della situazione. Azione ha fatto una direzione nazionale in cui sembra che vada tutto bene, che davanti ci sia uno sfolgorante futuro e che chi vuole costruire un’alternativa ai due poli deve necessariamente iscriversi ad Azione e baciare l’anello del suo leader. Su Italia Viva ho apprezzato la considerazione della fine di un ciclo, ma oltre a questo e a varie metafore calcistiche non vedo nessun passo concreto. Si è dimesso il segretario regionale toscano e venerdì vogliono farne eleggere un altro dall’assemblea. Non mi pare l’atteggiamento di un partito che, come annunciato, tra 60 giorni dovrebbe andare a congresso (per eleggere le cariche, compreso quella). Mi pare che tutti stiano puntando a far sì che tutto cambi affinché tutto rimanga com’è».

Renzi che ruolo avrà?
«Se non fosse per Matteo Renzi che mi ha "scovato" sarei un professore universitario di provincia a cui in passato è capitato di fare l’assessore al bilancio ancor più in provincia. Ogni ruolo che ho ricoperto l’ho avuto perché lui ha creduto in me e mi ha difeso contro i miei numerosi nemici. Matteo è un personaggio di caratura internazionale, è stato il premier più giovane della storia d’Italia e per certi versi quello più innovativo e concreto. Detto tutto ciò, le pare che possa essere io a dirgli cosa fare? A me non interessano i nomi, io parlo di politica: Azione e IV, da sole, non vanno da nessuna parte.
Occorre andare oltre, superandogli ostacoli che finora lo hanno impedito. Forse ora c’è troppo caldo, e dobbiamo tutti andare in vacanza e rilassarci un po’. A settembre, con la testa più fresca, spero che a qualcuno venga un po’ di generosità e a qualcun altro un po’ di coraggio».

 

Dai blog