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La Francia e gli scenari Ue, la sinistra non esulti troppo presto

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Roberto Arditti
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Nel giro di pochi giorni le sinistre europee portano a casa una netta vittoria (in seggi più che voti) in Gran Bretagna ed un risultato lusinghiero ed inatteso in Francia, ridimensionando il clamoroso successo al primo turno della destra guidata da Marine Le Pen e Jordan Bardella. Questi fatti oggettivi potrebbero indurre il mondo progressista ad un ottimismo istintivo, ragionando su un “passato pericolo” che può anche essere emotivamente comprensibile, ma che necessita di un’analisi assai più approfondita. Tutto ciò per almeno tre motivi essenziali, che occorre riassumere.

 

Punto primo: la vittoria di sinistra in Gran Bretagna arriva dopo quattordici anni consecutivi di governo dei conservatori ed è poderosamente agevolata dalla legge elettorale vigente, che consente al premier Starmer di avere il 63% dei seggi con il 33 % dei voti, mentre due formazioni di destra (difficilmente assimilabili) raccolgono il 23% (i conservatori) e il 14% (Farage). Punto secondo: la destra francese è lontana dalla maggioranza dell’Assemblea Nazionale ma si ritrova con un numero di eletti mai avuto in passato e con una percentuale (33%) raccolta al primo turno che rappresenta il suo record storico. Punto terzo. Alle recentissime elezioni per il Parlamento Europeo le formazioni di destra hanno raccolto in giro per il continente una quantità complessiva di voti mai ottenuta in precedenza, naturalmente articolata in modo diverso tra vari Paesi.

Poiché questi sono dati incontrovertibili, è ben evidente il fatto che il panorama politico europeo sta cambiando, come reso plasticamente evidente anche dal successo delle destre in Italia, che non solo sono al governo dal 2022 ma che hanno visto confermati i loro consensi anche a giugno di quest’anno. Ieri il direttore Cerno ha qui usato l’espressione «nuova alba» per descrivere il momento in cui ci troviamo. Ed è proprio questo che deve essere compreso da tutti gli attori principali sulla scena politica continentale.

 

Siamo di fronte ad un momento di «stacco» con il passato, dentro dinamiche di confronto che puntano ormai troppo spesso a distruggere più che a costruire. Ma questo è esattamente quello che non serve alla Francia (che ora dovrà cercare una coalizione in Parlamento e non ci è molto abituata) e quello che non serve all’Europa, alle prese con la gestione di enormi questioni come l’immigrazione e la creazione di un programma di difesa comune. Sono temi, va precisato con forza, su cui anche le destre europee dovranno trovare migliori forme di analisi e proposta in comune. Allora qui occorre essere molto chiari: pensare dopo il secondo turno francese di marciare allegramente come se nulla fosse accaduto sarebbe un errore fatale. Le destre europee sono ormai troppo grandi per essere fuori dal tavolo delle decisioni che contano, ci ragionino su innanzitutto Ursula von der Leyen e Emmanuel Macron. Fare finta di niente indurrebbe le forze di destra ad un atteggiamento di polemica ad alzo zero che non è minimamente auspicabile. Attenzione: il fuoco dello scontento cova sotto la cenere di un’Europa invecchiata e impaurita. Esso va governato con saggezza e buona volontà, vincere è bene, stravincere è male. Per finire una nota tutta «nazionale»: da domani la destra italiana ha titolo per spiegare a quella francese come si vince davvero.

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