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Pd mette l'asterisco e la Festa diventa dell' "Unit*". Poi il cineforum con Fanpage

Martina Zanchi
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Una scelta estetica ma anche un po’ politica, simboleggia l’inclusione ma anche il «fiore del partigiano». O del partigian*, con l’asterisco, come quello che quest’anno il Pd ha messo alla Festa dell’Unità. Che quindi è diventata Unit*, nonostante il sostantivo (tutt’altro che maschilista) nasca di per sé declinato al femminile. «Ma unit* in che senso? Per il Pd esiste anche l’Unitò?», si è domandato ieri sui social il vicepremier e segretario della Lega Matteo Salvini. Al quale a stretto giro è arrivata la replica del segretario romano dem, Enzo Foschi: «Capiamo bene che Salvini potrebbe gradire altri simboli», ha detto, contattato da Il Tempo. La stessa osservazione Foschi l’aveva proposta poco prima, intervistato in radio. Un copione buono da replicare anche dal palco della festa dem alle Terme di Caracalla. In programma ieri sera c’era la proiezione integrale dell’inchiesta di Fanpage su Gioventù nazionale, presente il direttore della testata Francesco Cancellato. Nulla di inedito durante la clip, dice Foschi.

 

 

 

Giusto un’occasione, quindi, per ritirare fuori questioni che Fratelli d’Italia ha archiviato allontanando coloro che - per citare il premier Giorgia Meloni- si sono dimostrati «uno strumento nelle mani dell’avversario». La Festa dell’Unit* comunque, dice il segretario, «è partecipata, c’è tanta gente, sta andando bene», motivo per cui bolla come una «polemichetta» le perplessità sull’asterisco-fiore, che peraltro pare abbia fatto storcere il naso anche a qualche iscritto più agé. Quelli che Enrico Berlinguer se lo ricordano bene. «Abbiamo fatto una scelta grafica, ci piaceva il simbolo, molto usato tra i giovani», risponde Foschi. Poi, per non limitarsi a una spiegazione meramente estetica, aggiunge che «questo simbolo rappresenta una scelta politica. Un fiore che simboleggia il valore dell’inclusione e anche la memoria storica». In che senso, è presto detto: «Il fiore del partigiano, ovviamente».

 

 

 

L’asterisco dem è a libera interpretazione, ognuno può vederci quel che vuole. «E Salvini facesse le feste che vuole, coi simboli che più gli piacciono», è la chiosa di Foschi, che saluta garbato e chiude la telefonata. Nelle orecchie risuona ancora l’applauso con cui mercoledì sera a Roma la platea ha accolto l’appello all’unità (quella con la "a" accentata e ben scandita) della segretaria nazionale Elly Schlein. «Uniti le destre si possono battere, abbiamo tanto più in comune di quanto ci divide. Le nostre differenze sono un bene», ha sottolineato la leader. Un concetto che però non deve essere così chiaro in Campidoglio, il palazzo del potere della Capitale governata dal sindaco Roberto Gualtieri, vicino al deputato Claudio Mancini, e in cui la maggioranza, fiaccata dai correntismi, ha difficoltà persino ad aprire l’Assemblea capitolina, il Consiglio comunale di Roma. Ben quattro solo a giugno sono state le sedute svolte in «seconda convocazione», per cui bastano 16 consiglieri presenti invece di 24.

 

 

 

E i risultati delle Europee non hanno fatto altro che esasperare un clima già abbastanza teso. A Roma il candidato dei «manciniani», Matteo Ricci, con le sue 20 mila preferenze non ha travolto i competitor interni, Dario Nardella e Camilla Laureti, entrambi sopra i 19 mila voti. Quest’ultima è stata anche eletta vicecapogruppo dei socialisti a Bruxelles. Un tentativo di conta che alla fine non ha smosso gli equilibri e, anzi, ha creato altro malcontento tra chi si sente sottorappresentato, tra nomine e assessorati. E sarà un caso ma due sere fa, mentre Schlein saliva sul palco alle Terme di Caracalla, non sono state avvistate tra il pubblico la capogruppo Valeria Baglio e la presidente del partito romano, Giulia Tempesta. Pare comunque che in Campidoglio fosse in corso una riunione importante, con il sindaco, in materia di bilancio.

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