L'Europa snobba il popolo. von der Leyen cerca voti per evitare il caos
La notte, a Bruxelles, non ha portato consiglio. Ed alla fine le previsioni sono state rispettate alla lettera, i 27 hanno deciso una sorta di «rimpastino», dando vita ad una commissione «fotocopia». A partire dalla testa, con la conferma della presidente tedesca Ursula von der Leyen, ma ci saranno probabilmente come commissari anche il lettone Valdis Dombrovskis, il francese Thierry Breton, il lussemburghese Nicolas Schmit e lo slovacco Maroš Šefcovic. In pratica la stessa squadra di 5 anni fa, ovvero prima del Covid, prima delle guerre alle porte con l’Europa, e prima delle elezioni, che hanno consegnato due batoste alle maggioranze in Germania e soprattutto in Francia. Come se nulla fosse successo, il summit di giovedì ha approvato i «top Jobs»: Ursula alla presidenza della Ue, l’estone Kaja Kallas nelle vesti di Alto rappresentante, il portoghese Antonio Costa (con il voto a favore di Viktor Orban che ha uno storico legame con il socialista) a guidare il Consiglio Europeo. Il tutto con maggioranza qualificata - rafforzata - necessaria per il via libera intorno al tavolo dell'Europa building. Infruttuoso il tentativo dei Popolari europei di convincere Giorgia Meloni a seguire la maggioranza. La presidente del Consiglio si è astenuta sulla von der Leyen, votando contro all'estone e al portoghese.
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È lei stessa, dopo il vertice, a spiegare la posizione del governo italiano: «Lo considero un grande errore, una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini europei e nel voto espresso da loro. Ho ritenuto di raccogliere l'indicazione dei cittadini non sostenendo questa proposta. Abbiamo deciso nel rispetto delle diverse valutazioni». Ovvero delle divisioni dei partiti della maggioranza. In effetti, il voto sui top jobs ha mostrato con nettezza le tre diverse posizioni che convivono nell'esecutivo. Da questo punto di vista l’astensione della Presidente del Consiglio è un gesto di attenzione verso il Ppe e la tedesca al suo secondo mandato in Ue. Meno diplomatico Nicola Procaccini, co-presidente del Gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo: «La Ue non può continuare ad essere guidata dal circolo chiuso delle stesse forze politiche, ignorando il voto dei cittadini che ha spostato l'asse politico più a destra e facendo finta che nulla sia cambiato».
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Oltre alle polemiche nazionali, ci sono due date che terranno con il fiato sospeso le capitali europee. Oggi si aprono le urne in Francia per rinnovare l’Assemblea nazionale, il secondo turno è previsto il 7 luglio. Le proiezioni danno il Rassemblement National di Jordan Bardella e Marine Le Pen come favorito al 36 per cento dei consensi seguito dall'alleanza del Nuovo Fronte Popolare, composta da Partito Socialista, La France Insoumise, Verdi e Partito Comunista Francese, tra il 27,5 e il 29 per cento. Solo al terzo posto il partito del presidente Macron tra il 19,5 e il 21 per cento dei consensi. Un voto che rischia di provocare un cataclisma a Bruxelles. Anche perché anticipa di poco un altro pronunciamento, giudicato sul filo. Ovvero quello del Parlamento europeo, in calendario, il 16 luglio per la conferma della popolare maltese Roberta Metsola a capo dell’assemblea. E soprattutto dal 18 luglio, per il voto di fiducia alla nuova presidente della Commissione europea. E qui cominciano i guai, perché la maggioranza formata da popolari, socialisti e liberali ha i numeri contati. Calcolando una percentuale naturale di un 10-15% di franchi tiratori, la presidente designata potrebbe aver bisogno di una cinquantina di voti per stare tranquilla. Esito tutto meno che scontato, soprattutto se in Francia avrà vinto il lepenista Bardella. Una situazione che spinge il leader della Lega, Matteo Salvini, a prevedere che «questa commissione avrà vita breve». Ora parte il conto alla rovescia, meno di venti giorni da una serie di eventi che potrebbero cambiare i connotati dell’Europa.
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