Ue, i leader puntano a chiudere sulle nomine evitando lo strappo con Meloni
Nessuno ha voluto escludere l’Italia e Giorgia Meloni. Prima del calcio di inizio del Consiglio europeo delle nomine, tra i leader Ue, soprattutto della famiglia dei popolari, è tutto una rincorsa a scusarsi e sottolineare che l’Italia è una grande paese, del cui peso va tenuto conto. «C’è stato un malinteso. L’unica intenzione e l’unica ragione per cui abbiamo preparato questa posizione comune è per facilitare questo processo. Davvero non c’è l’Europa senza l’Italia, né una decisione senza la premier Meloni», ha detto il premier polacco, Donald Tusk, negoziatore Ppe per le nomine. Anche il greco Kyriakos Mitsotakis rimarca il suo rispetto «per Giorgia Meloni e per l’Italia, che è un Paese molto importante nell’Unione europea». Da parte socialista, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ricorda che il pacchetto di nomine è solo una proposta, «una posizione da discutere con gli altri 27». Per il liberale olandese Mark Rutte, futuro leader della Nato, Meloni «non è stata esclusa. Il fatto è semplicemente che l’Ecr, di cui fa parte il partito di Meloni, non è coinvolto in questi colloqui perché la cooperazione non è accettabile per gli altri partiti», ma è necessario «garantire che l’Italia si senta adeguatamente rappresentata nella Commissione europea».
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Giù la partita delle altre nomine e delle alleanze in Parlamento europeo è strettamente legata ai top jobs. Il ministro Antonio Tajani al vertice del Ppe ha detto ai leader del Ppe di «fare ’attenzione ad escludere I conservatori da qualsiasi forma di dialogo perché significa far sì che poi i conservatori vadano a parlare con Le Pen». Il vicepremier, che è anche vicepresidente del Partito popolare europeo, ha criticato il metodo e definito un «errore» non aver coinvolto i paesi. Per il premier belga uscente, Alexander De Croo, «è così che funziona la democrazia» perché «nel Parlamento europeo ci sono tre gruppi che sono disposti a lavorare insieme». L’accordo sui tre nomi - la popolare Ursula von der Leyen per la Commissione europea, il socialista Antonio costa per il Consiglio europeo e la liberale Kaja Kallas per il posto di Alta rappresentante per la politica estera - è scontato. Bisogna capire come avverrà il voto e come voterà la premier Giorgia Meloni. Se si asterrà, se ci sarà un voto separato per ognuna delle tre cariche, o se non ci sarà una votazione del tutto. I leader, infatti, potrebbero constatare che sulle nomine esiste la maggioranza qualificata rafforzata, ovvero che 20 Paesi che rappresentano il 65% della popolazione Ue sono a favore, così non sembrerà che il pacchetto sia imposto a tutti. Da Palazzo Europa viene fatto filtrare che i leader vogliono chiudere la partita delle nomine e tutto il vertice entro stanotte.
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Ufficialmente, non si dovrà parlare dei nomi dei commissari ma tra i leader il dibattito è già avviato. Secondo la stampa internazionale ci sarebbe uno scontro tra Italia e Francia per contendersi «un potente vicepresidente della Commissione responsabile del commercio, della concorrenza e della politica industriale». Il presidente francese Emmanuel Macron avrebbe chiesto la riconferma di Thierry Breton, oggi responsabile del portafoglio del Mercato interno, che comprende anche gli appalti per la difesa, ma la leader di Rassemblement national Marine Le Pen ha detto che la nomina spetta al prossimo governo che uscirà dalle urne del 7 luglio. I giorni della prossima settimana saranno decisivi anche per l’assetto dei gruppi parlamentari. Dopo lo stallo di ieri nella riunione del gruppo Ecr, i polacchi del Pis potrebbero abbandonare la compagine dove siedono assieme a Fratelli d’Italia. A confermare le indiscrezioni è lo stesso ex primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki. «Nel nuovo gruppo - viene spiegato - ci sarebbero Fidesz, partito del premier ungherese Viktor Orban, il Partito democratico sloveno di Janez Jansa e il movimento Ano dell’ex premier ceco, Andrej Babis, uscito da poco da Renew Europe.