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Renzi "arruolato" da Tony Blair, Italia viva traballa: caccia di FI e Pd ai riformisti

Mira Brunello
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L’incarico arriva al momento giusto. Ovvero subito dopo la debacle europea che ha segnato il fallimento delle due liste centriste, Stati Uniti d’Europa ed Azione. O almeno al momento giusto per Matteo Renzi, che ieri ha fatto sapere del suo nuovo lavoro: consigliere strategico del «Tony Blair Institute for Global Change». Il ramo è quello della consulenza di alto livello a leader e governi mondiali, nel settore delle riforme e del cambiamento tecnologico. Nel prestigioso board creato dall’ex premier inglese, oltre a Renzi, siederanno Sanna Marin, ex Primo Ministro finlandese, il Generale Sir Nick Carter, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa nel Regno Unito, e Patrick Vallance, ex Consigliere scientifico capo del governo del Regno Unito.

 

L’annuncio dell’ex presidente del Consiglio italiano è sembrato ai più un segnale della sua voglia di allontanarsi dalla politica nostrana, o almeno dalla prima linea (i suoi interventi più appassionati, come quello di ieri in Senato, da un po’ di tempo sono sulla politica internazionale). D’altra parte, lo aveva detto lui stesso, nel commento dopo la batosta: per il futuro cerchiamo un «terzo nome». Dove naturalmente i primi due da scartare sono quelli dell’arci nemico Carlo Calenda e dello stesso ex sindaco di Firenze, entrambi logorati da una polemica lunghissima. Un’impresa più facile a dirsi che a farsi, perché nel frattempo, l’area politica di mezzo è completamente nel pallone.

In una rapida ricognizione del campo di battaglia, resistono solo macerie. Più Europa, come il figliol prodigo, si è già trasferita «armi e bagagli» dalle parti del Nazareno, mentre Azione ed Italia Viva trattengono il fiato in attesa di quello che potrebbe succedere.

Che nessuno riesce a stabilire,«qui il primo birillo che cade, fa sprofondare tutto», commentano in transatlantico. Il partito di Matteo Renzi, che a botta calda aveva annunciato un congresso in autunno, sembra aver cambiato idea (secondo la coordinatrice nazionale Raffaella Paita «non è una priorità»); dalle parti di Piazza del Gesù, Calenda non pensa a passi indietro, ma nessuno può prevedere cosa si scatenerebbe se tre parlamentari (Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna ed Enrico Costa) annunciassero l’abbandono del partito. Una scelta data per scontata in Azione, perché l’intenzione dell’ex ministro è quella di mettere in campo una sorta di Margherita «bonsai», un traguardo malvisto dai tre ex forzisti.

Così, al momento, restano in campo due gruppi parlamentari (9 deputati e 7 senatori per Italia Viva e 12 deputati e 4 senatori per Azione), ed un laboriosissimo piano di ricostruzione. Andrea Marcucci, presidente di Libdemeuropei, parlando proprio con Il Tempo, lanciò l’idea di una «Costituente», e sembrava un visionario, ieri lo stesso filo l’ha ripreso anche la coordinatrice di IV Paita, che ha ipotizzato una «casa dei riformisti». Nel mezzo restano due deputati molto stimati pronti a dare battaglia, Luigi Marattin ed Enrico Costa.

 

Quindi chissà, certo è che anche alle disastrose europee, la somma dei due partiti resta intorno al 7%, per dire che uno spazio elettorale ci sarebbe. La nuova casa rischierebbe comunque di partire senza il mattatore assoluto di questa parte politica, Matteo Renzi, a buona ragione considerato il fondatore. A meno che il leader di Italia Viva, non voglia mantenere fede a quello che gli amici gli consigliarono di fare dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 2016: «scompari un po’ di tempo, poi vedrai che ti verranno a cercare». Consiglio ignorato allora (l’anno dopo, si ricandidò alle primarie del Pd), non è detto che non lo faccia oggi. Trasformandosi nel padre nobile, esattamente come ha fatto Tony Blair nel Regno Unito.

 

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