LA VENDETTA DI BRUXELLES

Pd, Schlein fa di testa sua e lancia Zingaretti. Ai riformisti zero tituli, Bonaccini out

Mira Brunello

Zitta, zitta, come nel suo stile, Elly Schlein si appresta a fare tutto di testa sua, come d’abitudine. Anche a Bruxelles, con tanti saluti ai riformisti che hanno avuto un indiscutibile (e a quanto pare inutile) successo di preferenze. Ed almeno 4 eletti doc (Gori, Tinagli, Gualmini, Moretti), più la star Antonio Decaro (che però gioca in proprio), Stefano Bonaccini viene invece già etichettato come «apolide». Nell’organigramma in discussione al Nazareno infatti non c’è traccia di eurodeputati della minoranza. D’altra parte, la segretaria del Pd li aveva pure avvertiti, non vi dannate l’anima, tanto decido tutto io. In pratica una donna sola al comando, lei. Per il ruolo di capo delegazione la partita sembra chiusa a favore di Nicola Zingaretti, la politica dei buoni rapporti stabilita dal governatore dell’Emilia Romagna (e quasi il triplo di preferenze rispetto all’ex Presidente della Regione Lazio) sembra non portare buoni frutti. Anzi a dirla tutta, un’altra testata. Il vero capovolgimento di fronte potrebbe riguardare però la vicepresidenza del Parlamento Europeo, dove Pina Picierno, avrebbe difficoltà a confermare il suo incarico. La campana è troppo indigesta per Elly Schlein per occupare un posto ritenuto centrale. Così il vero asso pigliatutto porterebbe il nome della fedelissima Camilla Laureti, in gioco su tutte le caselle. Al posto della Picierno come vice presidente di Roberta Metsola, la maltese confermata alla guida del Parlamento, al suo posto a metà mandato per l’alternanza concordata con il Ppe, sulla poltrona dove si sono già seduti Antonio Tajani e David Sassoli.

 

  

 

Ma non finisce qui, perché l’umbra potrebbe già oggi affiancare la socialista spagnola Iratxe Garcia Perez, come sua vice alla guida del gruppo S&D (in alternativa Brando Benifei). Restano in gara per la vicepresidenza del Parlamento, oltre alla Picierno (forte di ottimi rapporti con tutti i gruppi) anche Dario Nardella, come eventuale premio concesso al suo capocordata Dario Franceschini. Originali le scelte sulle presidenze delle Commissioni, il Pd, pur essendo la delegazione più nutrita di S&D, rinuncerebbe a quelle più importanti, e si rifugerebbe in quelle più congeniali per la propaganda. Agli italiani ne toccherebbero due, «Libe» (libertà civili, giustizia ed affari interni) per Cecilia Strada, «Regi» (sviluppo regionale) per Matteo Ricci. Anche in questo caso la minoranza resterebbe a bocca asciutta, ed al massimo può aspirare alla commissione «Femm» (parità di genere) per Alessandra Moretti.

 

 

Scelte che scatenerebbero un putiferio intorno al Nazareno, perché gli incarichi riguarderebbero solo esponenti di maggioranza. In più certamente peserebbe la presidenza affidata a Cecilia Strada, nota per le sue posizioni, cosiddette «pacifiste» sull’Ucraina. La figlia del fondatore di Emergency sostituirebbe in pratica la riformista Irene Tinagli, che nella scorsa legislatura, presiedeva la ben più pesante commissione «Econ» (problemi economici e monetari). Insomma un altro messaggio inequivocabile mandato dalla segretaria del Pd: non disturbate il manovratore, benefici concessi solo ai capi corrente che la sostengono (come Zingaretti, Bettini per quanto riguarda Ricci e nel caso Franceschini per l’ex sindaco di Firenze), gli altri fermi al capolinea. Altra partita per Enrico Letta: l’ex segretario dipende dalle scelte dei socialisti. Più difficile che possa arrivare al vertice del Consiglio Europeo, più facile che guidi la missione Ue in Medio Oriente.