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Ue, le manovre di Ursula bis. Meloni punta su Fitto, si fa largo anche Belloni

Aldo Torchiaro
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Il governo Meloni tratta fino all’ultimo sulle nomine per la nuova Commissione europea. Sul tavolo e sotto banco. Nelle riunioni ufficiali e nei colloqui informali, telefonici, trasversali. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha sollevato il tema politico del «trattamento assolutamente sbagliato» riservato all’Italia nelle trattative sulle nomine. La bilancia dei negoziati è in equilibrio precario: all’Italia viene chiesto un sostegno fondamentale per la riconferma di Ursula von der Leyen, il governo si aspetterebbe proposte di nomina altrettanto importanti. Sul piatto ci sono le candidature di due ministri: Giorgetti, date in lieve calo dopo l’esito del voto, e Raffaele Fitto. Ma anche quelle di due outsider non proprio collaterali come Letizia Moratti, in quota FI e dunque Ppe, o il tecnico Daniele Franco che per Bruxelles sarebbe la longa manus di Mario Draghi. Meloni sembrerebbe anche tentata di chiudere la partita sui commissari calando l’asso di una donna che rafforzerebbe l’autorevolezza italiana senza costringere il governo a un rimpasto ravvicinato: la carta Elisabetta Bellloni, direttore del DIS, è sul tavolo di Palazzo Chigi.

 

 

Fitto rimane in pole position, anche perché saprebbe già dove mettere le mani, andando in Europa. Giorgetti non vuole farsi mettere i piedi in testa e ha alzato la voce, alla riunione di ieri del Consiglio dei governatori europei: ha denunciato che l’Italia è «stata estromessa dalle trattative», protestando per un «atteggiamento pregiudizievole verso il nostro Paese» e sottolineando che «non è il trattamento che l’Italia si merita». Si deve decidere a stretto giro. E a essere interpellata da tutti è – come capo del governo e punto di riferimento di Ecr – Giorgia Meloni. Ieri Orbàn ha reso noto che non entrerà nel gruppo, e questo rende i voti del primo raggruppamento europeo di destra – agli occhi di Ursula von der Leyen – ancora più appetibili. Lo stop di Orbàn complica tuttavia i rapporti già incerti tra FdI e chi come i polacchi del Pis sponsorizzava l'ingresso del partito di Orbàn, Fidesz. «Meloni vuole il controllo del gruppo e non tiene conto del parere delle altre delegazioni», ha attaccato Jacek Saryusz-Wolski, uno dei dirigenti del partito polacco. I prossimi giorni vedranno nuove battaglie di numeri tra Ecr, Id e Renew. I Liberali, celebrando l'ingresso dell'eurodeputato belga di Les Engages, sono saliti a 81 seggi, contro gli 83 di Ecr, ma nuovi arrivi potrebbero innescare un insperato controsorpasso.

 

 

La presidente uscente della Commissione Europea ha bisogno dei voti europei di Fratelli d’Italia. Ma se alla fine, come sembra, Ursula sarà rieletta sarà più per il piano B del Ppe – rivolto a non mettere al suo posto Timmermans – piuttosto che per premiarne davvero l’operato. Meloni è tiepida. Non darà niente per niente. E in ogni caso, il gruppo Ecr si riserva di non votare compattamente. Perché anche la vaga ipotesi di appoggio della destra di governo italiana a von der Leyen si incrocia con il fatto che Ecr si riserva di assumere posizioni distinte sulla presidente uscente. Al quartier generale Ue si fa largo con chiarezza un punto: un’intesa forte sul pacchetto dei top jobs Ue ha bisogno del sì di un Paese fondatore come l'Italia. E dunque al vertice dei 27 della settimana prossima si potrebbe allora giocare a carte scoperte. Il terzetto von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas viene giudicato stabile. E c’è anche da prendere nota del pressing dell’Est Europa per un ruolo apicale dell'Ue. Pressing che, con l'olandese Mark Rutte a capo della Nato, è destinato a crescere anche perché i principali concorrenti a Kallas sono due personalità del Benelux: il premier uscente Alexander De Croo e l’ex premier lussemburghese Xavier Bettel. Su Costa i Socialisti stanno facendo quadrato, sebbene nell’ombra resti sempre valido un piano B che risponde al nome di Enrico Letta.

 

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