l'editoriale

Giorgetti, la sfida: tagli alla spesa o nuove entrate. Il futuro dei conti

Alessio Gallicola

Nessuna sorpresa, «era già tutto previsto», direbbe Cocciante. Da mesi attendevamo che la Commissione Ue avviasse una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, come di altri Paesi, per deficit eccessivo. Oltre al tradizionale, ipertrofico debito pubblico del nostro Paese, troppo pesante sul deficit italiano è risultato il carico delle misure eccezionali, Superbonus in testa. Così, in sostanza, è impossibile contenere il rapporto deficit-Pil al famoso 3% imposto dai Trattati europei. Di qui la procedura, che apre ufficialmente la partita più spinosa del 2024 del governo Meloni: trovare in cassa i circa 10 miliardi necessari a realizzare quell’aggiustamento dello 0,5% del Pil preteso dall’Europa. Anche perché, in realtà, i dieci miliardi vanno ad aggiungersi ai 15 già stimati per confermare e rendere strutturali le misure in scadenza a fine 2024, in primis il taglio del cuneo fiscale e l’accorpamento di due aliquote Irpef. E siamo a quota 25.

 

  

 

 

Ma non è finita qui, dal momento che l’esecutivo Meloni vuole confermare provvedimenti come la detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, lo spostamento di plastic e sugar tax, il bonus mamme, il taglio del canone Rai. E poi il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno. Insomma, almeno altri 4 miliardi. Alla fine, per mettere in piedi la manovra 2025, serviranno 30-32 miliardi se davvero il governo vorrà tenere fede a quanto dichiarato all’interno del Def «orale», come è stato definito, non senza un accenno polemico, dall’ex presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro. E qui si gioca la vera partita, per la quale Giorgetti è già al lavoro da tempo, a dispetto di quanti pronosticano una sua exit strategy da via Venti Settembre, magari per un viaggio a Bruxelles.

 

 

 

L’impresa sarà confermare le misure principali senza incidere ulteriormente sul deficit, in omaggio a quel «percorso di responsabilità e di finanza pubblica sostenibile» che il ministro ha rivendicato anche ieri, commentando la procedura europea e garantendo sulla strada che il governo intraprenderà: «Andremo avanti così». Che significa, in pratica, due cose: tagliare la spesa pubblica o trovare nuove entrate. Fin qui il dato tecnico. Che s’interseca però con la politica. La procedura d’infrazione giunta in un momento cruciale delle trattative per la definizione dei «top jobs» accende uno special sull’aspetto politico della vicenda. Che peserà, perché i piani di spesa dei vari Paesi saranno presentati in autunno e validati dalla prossima Commissione. Che sarà Ursula bis ma difficilmente avrà la stessa connotazione politica della precedente.