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Macron, Scholz e Sanchez: l'inciucio Ue dei tre sconfitti. Meloni prova a bloccarli

Edoardo Romagnoli
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Mentre Giorgia Meloni era impegnata nei lavori del G7 di Fasano, Scholz e Macron lavoravano in vista della cena informale, in programma oggi a Bruxelles, fra i capi di Stato e di governo organizzata dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Non è un caso se a margine del vertice di Fasano il cancelliere tedesco ha incontrato il presidente francese e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, senza la padrona di casa. Non è un mistero infatti che socialisti e liberali sarebbero pronti a sostenere il bis di Ursula a patto che non ci sia l’accordo con i conservatori. Scholz, che dopo aver lasciato la Puglia ha bollato il governo Meloni come un esecutivo di «estrema destra», ha ipotizzato anche una maggioranza che vede insieme popolari, socialisti e liberali. Una coalizione che conterebbe 406 voti, un po’ troppo risicata come maggioranza. Dall’altra parte il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani ha auspicato una maggioranza fra popolari, liberali e conservatori. Anche qui le forze insieme avrebbero circa 346 seggi, 15 in meno della soglia necessario per avere la maggioranza; sempre che non vadano a «pescare» fra quegli europarlamentari non iscritti o senza un gruppo di appartenenza. Non sono pochi, sono 89.

 

 

Oggi sul tavolo di Bruxelles ci sono da assegnare le tre presidenze di Commissione, del Consiglio europeo e del Parlamento oltre all’incarico di Alto rappresentante per gli Affari Esteri. Le scelte che si stanno delineando prevedono che Commissione e Parlamento vadano al Ppe, il Consiglio europeo ai socialisti e l’Alto rappresentante Ue ai liberali. Nonostante il gruppo, guidato da Giorgia Meloni, dei Conservatori europei (Ecr) sia il terzo nell’Europarlamento. E per questo il premier Meloni ha chiesto che «all’Italia venga riconosciuto il ruolo che le spetta, in termini di competenze delle quali ci si dovrà occupare quando si formerà la Commissione e ci saranno i commissari». Il ministro degli Affari esteri Antonio Tajani ha anticipato già uno dei nomi papabili: «Metsola sarà candidata a presidente del Parlamento europeo e questa per l’Italia è una bella notizia». Poi ha auspicato che al nostro Paese «nella nuova Commissione spetti un vicepresidente con un portafoglio importante».

 

 

E fra i nomi italiani che si fanno per un Commissario di «peso» ci sarebbero: l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, l’ex ministro dell’Economia Daniele Franco e l’attuale ad di Leonardo Stefano Cingolani. Mentre a livello europeo si fa sempre più forte l’ipotesi di un «ticket» che vede von der Leyen alla Commissione e l’ex premier portoghese Costa al Consiglio europeo. Tajani esclude che Draghi possa giocarsi il ruolo di presidente del Consiglio Europeo. «Draghi è un tecnico ha dichiarato Tajani- per arrivare alle nomine bisognerà fare accordi tra le varie famiglie politiche europee. La vedo più come una ipotesi giornalistica». L’unica cosa certa è che Francia e Germania vogliono stringere i tempi e arrivare a un accordo «molto rapidamente» e «in un colpo solo». Perché il rischio per i socialisti è che dalle urne francesi emerga un Rassemblement national con una maggioranza forte che si rifletta anche a livello europeo mettendo in discussione tutti i piani di Scholz e Macron. Meloni dovrà trovare un modo per emergere vincente dalla morsa di Francia e Germania che, nonostante le elezioni in patria, non hanno intenzione di mollare la presa in Europa.

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