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Europee, la campagna elettorale si chiude tra veleni e schermaglie

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La campagna elettorale si chiude tra veleni e schermaglie, anche tra alleati, per un voto europeo che, svolgendosi con il proporzionale, ha di fatto dato il là a un "tutti contro tutti" per cercare di portare acqua al proprio mulino. Tra i temi centrali, il rischio astensionismo, con tutti i leader, a partire dalla premier Giorgia Meloni, che hanno lanciato appelli per il voto. E poi la pace che il leader del M5S, Giuseppe Conte, ha voluto mettere nel simbolo. Proprio sull’Ucraina si inasprisce lo scontro interno alla maggioranza tra i due vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani. Il leader leghista torna ad attaccare il presidente francese, Emmanuel Macron, per l’idea di inviare in futuro anche soldati europei e la decisione, intanto, di concedere i caccia Mirage. «Se qualcuno di centrodestra in Italia preferisce la sinistra al centrodestra, e preferisce il bombarolo guerrafondaio, il pericoloso Macron, perché Macron è pericoloso e lo vedo instabile, non voglio che il mio destino sia nelle mani di un tizio instabile», arriva a dire Salvini, attaccato per questo anche dalle opposizioni: «Un vicepremier che dice che il presidente di un Paese alleato è instabile si deve dimettere, altrimenti è un problema per la diplomazia», dice il leader di Azione, Carlo Calenda. A Tajani non vanno giù le parole di Salvini, che sottolinea che «chi divide il centrodestra, chi preferisce Macron a Le Pen, non fa un dispetto a Salvini ma fa un dispetto all’Italia».

«Capisco i toni da campagna elettorale di Salvini, dal suo punto di vista è giusto fare dichiarazioni come queste» perché «sta cercando di recuperare voti», la secca replica di Tajani, che chiosa: «Ma non accetto lezioni da nessuno quando si parla di patria e di Italia». Tra i due la sfida è anche per la seconda posizione all’interno del centrodestra mentre la premier Meloni, forte di una leadership che non è in discussione, invita al voto perché l’Europa, dice, «a noi a volte sembra qualcosa di distante ma si tratta invece di questioni che riguardano da vicino la nostra vita ogni giorno». E chiede di votare per FdI per «portare in Europa lo stesso cambiamento che abbiamo iniziato qui in Italia». «Secondo tutti gli osservatori l’Italia potrebbe essere la nazione chiave di volta nelle prossime decisioni europee - dice la presidente del Consiglio - e questo vuol dire avere domani un’Europa nella quale non c’è più nessuno che pensa di poter decidere senza di noi. Questo io lo posso fare ma ho bisogno di essere forte». Anche nel centrosinistra, fin dall’inizio della campagna elettorale, Elly Schlein e Giuseppe Conte cercano di marcare le differenze per attrarre consenso sulle liste, ma con un occhio al dopo elezioni e all’ipotesi di costruire il campo largo. I due si sfidano a distanza anche nell’ultimo giorno di campagna: Schlein da Padova sulle orme di Enrico Berlinguer, Conte da Palermo. «Vogliamo un’Europa che sia in grado di costruire una politica comune per costruire percorsi di pace», dice Schlein, spiegando che la pace «è un obiettivo comune e si può discutere su come arrivarci». Per il voto dice di immaginare «una vittoria del Partito socialista europeo di cui il Pd fa parte. Vorremmo una coalizione a forte traino progressista che porti Nicolas Schmit a sostituire Ursula von der Leyen». Conte, che come gli altri leader ha lanciato diversi appelli al voto, chiede «l’8 e il 9 giugno» di ricordare «quante volte Meloni, Salvini e soci vi hanno preso in giro in questi anni». E si presenta come unica vera garanzia di avere parlamentari europei impegnati per la pace: «Salvini ora litiga con Tajani, ma ha votato tutti gli invii di armi finora». Matteo Renzi punta sulla coerenza della sua scelta di andare in Europa se eletto, unico tra i leader italiani, e firma simbolicamente al Senato un patto con gli elettori; in un video sui social illustra i punti fondanti del programma degli Stati Uniti d’Europa e ribadisce: «Tutti gli altri si candidano per finta. Io mi candido davvero. In caso di elezione io, Matteo Renzi, scelgo di rappresentare l’Italia a Bruxelles». Restano le distanze e le tensioni con l’ex alleato Carlo Calenda. Il leader di Azione lancia un allarme che riguarda la Capitale: migliaia di neomaggiorenni non hanno ancora ricevuto la tessera elettorale e rischiano di non poter votare: «La questione delle tessere elettorali mai inviate - denuncia - sta decisamente assumendo contorni gravi e surreali. L’Assessore» alle Politiche del Personale, al Decentramento, Partecipazione e Servizi al Territorio di Roma, Andrea Catarci, «prima risponde che le hanno mandate a tutti (e non è vero) e poi che non c’è obbligo di spedirle. La realtà è che ho avuto migliaia di risposte di giovani al primo voto che non hanno ricevuto le tessere». Questo, secondo Calenda, significa «non avere cura della democrazia». Il silenzio elettorale scatterà a mezzanotte, in vista dell’apertura dei seggi alle 15 di sabato.

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