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Elly Schlein, ribaltone: addio al "soldato" Letta. La segretaria diventa pacifista

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Pietro De Leo
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La segretaria del Pd Elly Schlein prende posizione sulle parole del numero uno Nato Jens Stoltenberg, che aveva teorizzato l’utilizzo delle armi consegnate all’Ucraina per colpire obiettivi sul territorio russo. Un ragionamento, quello di Stoltenberg, cui il governo italiano, immediatamente nei vicepresidenti del Consiglio Tajani e Salvini e poi anche nella premier Meloni, aveva espresso una posizione contraria. Sul lato della sinistra, se il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte aveva con tempestività criticato il Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, si notava tra sabato e domenica la mancanza di una sortita in merito da parte della numero uno dem. Arrivata ieri, nelle edicole, in un’intervista al Corriere della Sera. A domanda specifica, Schlein risponde: «Noi siamo per sostenere il diritto di Kiev a difendersi dall’invasione criminale di Putin che sta bombardando senza scrupoli obiettivi civili in Ucraina. Ma questo non può e non deve tradursi, come è sempre stato chiaro, in un ingresso diretto dell’Ue in guerra con la Russia. L’Ue deve avere una sua autonomia strategica e lo sforzo deve essere tutto orientato a sostenere la conferenza di pace in Svizzera di metà giugno, non a creare ulteriori escalation».

 

 

Insomma, non prende nettamente di petto Stoltenberg, ma se ne distacca in una circumnavigazione verbale, nel suo usuale stile di affrontare i temi. È un posizionamento che contiene alcuni elementi di tipo politico. Il primo riguarda senz’altro l’imminenza elettorale e la necessità di non subire insidie nell’elettorato pacifista da parte del Movimento 5 Stelle. Quell’elettorato che trova in candidature come Marco Tarquinio e Cecilia Strada dei potenziali riferimenti. Quell’elettorato cui per vocazione culturale è più incline la stessa Elly Schlein, essendo il suo costrutto indentitario molto orientato sulla sinistra del partito, non a caso si registrano, da mesi, ripetute fibrillazioni dell’area degli ex margheritini, convintamente atlantista. Proprio questa dinamica interna, peraltro, conduce in un altro scenario. Schlein, di fatto, ha creato un ulteriore margine di discontinuità rispetto alla gestione precedente del partito, quella di Enrico Letta, che nel dossier ucraino non si era discostato di un millimetro rispetto alla linea rivendicata dall’allora Presidente del Consiglio Draghi, della cui larghissima maggioranza il Partito democratico faceva parte.

 

 

Draghi, infatti, si era collocato in perfetta assonometria rispetto alla Casa Bianca e al quartier generale dell’Alleanza Atlantica, anche quando da entrambe le parti erano provenute uscite mediatiche quantomeno imprudenti. Tutto ciò aveva collocato sia Draghi che Letta nel novero dei possibili successori di Stoltenberg. L’avvicendamento nel ruolo di Segretario Generale Nato, già oggi in regime di prorogatio, è previsto per ottobre. E se, almeno al momento, la figura di Draghi circola prevalentemente nel gioco delle caselle europee (tra Commissione, per ora non molto probabile, e Consiglio), il nome di Letta comunque fino a qualche settimana fa rimaneva nel novero. Anche se poteva beneficiare di quotazioni di gran lunga minori rispetto al primo ministro uscente olandese Mark Rutte. Ma di certo, la presa di posizione di Schlein, che disconosce integralmente la linea di quel che è un deputato del suo partito e sul piano politico non è poco, finisce per mortificare anche le più residue velleità. 

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