Toti, oltre otto ore di interrogatorio dai pm. “Mai servito interessi privati”
Un interrogatorio fiume e una lista infinita di domande, per trovare riscontri o contraddizioni nell’inchiesta per corruzione che ha messo nel mirino Giovanni Toti. Il governatore della Liguria, ai domiciliari dal 7 maggio scorso, ieri si è volontariamente sottoposto a un faccia a faccia con i pm Federico Manotti dell’Antimafia, Luca Monteverde e con il procuratore aggiunto Vittorio Miniati i quali, in oltre otto ore di colloquio, hanno posto ben 180 domande relative a 9mila pagine di atti, al fine di approfondire le contestazioni riguardanti il presunto «Sistema Toti», quel do ut des, finanziamenti elettorali regolarmente dichiarati in cambio di favori, tra il presidente della Regione e alcuni imprenditori, in primis Aldo Spinelli. Il governatore, assistito dall’avvocato Stefano Savi, ha risposto a tutti i quesiti e negato ogni addebito, forte della convinzione della sua innocenza e «armato» della documentazione contabile che riporta ogni singolo bonifico di quei 74mila euro contestati, dichiarati nel rispetto della legge sul finanziamento ai partiti e sulle erogazioni dei privati alla politica. «Ogni euro incassato ha avuto una destinazione politica: nessun contributo ha prodotto arricchimento o utilità personale a me, agli altri appartenenti al mio partito o a terzi privati. E proprio per fugare ogni minimo possibile sospetto e garantire massima trasparenza e possibilità di controllo, particolare attenzione è stata posta nel separare ogni aspetto economico della mia vita privata da qualsiasi attività economica legata alla politica, tanto da separare anche i conti correnti personali ed utilizzare per l’attività politica esclusivamente conti dedicati e “trasparenti"», ha scritto il governatore in una memoria di 17 pagine, depositata a corredo dei verbali dell'interrogatorio.
Un documento con il quale «spiegare le linee politiche e morali che, da quando ho assunto l’onere di guidare la Regione hanno sempre informato la mia attività nell'unico interesse di perseguire il bene dei cittadini», ha aggiunto Toti, confermando «la ferma volontà di collaborare», nell'interesse della giustizia, «per restituire alla mia figura di uomo e di servitore dello Stato la Dignità che ho costantemente cercato di preservare». Nel corso del faccia a faccia i magistrati hanno chiesto conto soprattutto di quel «rapporto di corrispettività» con Spinelli, portato alla luce dalle intercettazioni, sulla base delle quali gli inquirenti contestano a Toti come i finanziamenti elettorali, seppure trasparenti, sarebbero una sorta di tangente per l’interessamento del presidente della Liguria su alcuni affari, tra cui il rinnovo della concessione trentennale per il Terminal Rinfuse. Concessione che non dipendeva da Toti, ma che è stata firmata dall’ex presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini e da altri tre dei quattro membri del Comitato. Sulla circostanza, nel precisare che «nessuno degli atti viene predisposto con la mia fattiva partecipazione né con quella dei miei uffici», Toti ha messo nero su bianco che «il mio intervento sulle vicende non inerì gli atti stessi e la loro qualità, ma fu una semplice opera di mediazione e sollecitazione alla realizzazione di un interesse squisitamente pubblico».
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Non solo, il governatore della Liguria, parlando del rapporto con Spinelli, ha chiarito che si è attivato sulle questioni poste dall'imprenditore «attraverso un intervento sempre dettato dallo spirito di pubblica utilità e spesso addirittura in contrasto con gli interessi di Spinelli stesso ma a favore di altri operatori». Smentisce l’esistenza di un voto di scambio con la comunità di immigrati riesini: «È da evidenziare che vinsi le elezioni con circa 380mila voti. Il sostegno della comunità Riesina si sostanzia, nelle indagini, con una certa approssimazione, di 400 voti, giusto per proporzione e per capire che l'apporto non è tale da turbare l'equilibrio democratico del voto». Il governatore ha infine rimarcato che «non ho mai travalicato le specifiche competenze degli enti e degli uffici preposti, mai ho ingerito nelle libere scelte e decisioni dei soggetti coinvolti, mai ho fatto pressioni verso alcun soggetto, mai ho servito un interesse particolare in danno di quello collettivo». Nei prossimi giorni l’avvocato Savi chiederà la revoca dei domiciliari. Tanto più che la campagna elettorale volge al termine e il pericolo di reiterazione del reato, ravvisato dal gip, cadrebbe automaticamente.
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